I TRENI DELLA FELICITA'
Viaggio
alla scoperta di un’Italia tra passione politica e solidarietà
umana
H o
terminato in un pomeriggio il libro di Giovanni
Rinaldi - I
treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie,
edita nel settembre 2009 da Ediesse nella collana Cartabianca, con
una bellissima prefazione di Miriam Mafai.
Ho
scoperto una storia
dell’Italia dell’immediato dopoguerra di
cui non c’è più memoria,
se non nella
memoria di coloro che
all’epoca ne furono
protagonisti: bambine e bambini, ragazze e ragazzi, oggi anziani, ed
adulti. L’unica testimonianza già edita (nel 1981, ma introvabile)
sulla storia di quelle migliaia di bambini fu
il libro, Cari
bambini vi aspettiamo con gioia.
Insieme
al regista barese Alessandro Piva, Rinaldi ha ricostruito sul campo
le storie di alcuni tra quelle migliaia di bambini appartenenti a
famiglie povere e poverissime di un Sud arretratissimo, provato dai
bombardamenti, dalle distruzioni e dalle miseria della seconda guerra
mondiale, che lasciarono temporaneamente le loro famiglie e furono
ospitati da famiglie emiliane, romagnole e marchigiane. Questo
libro è un documentario su cui si è poi ispirato il filmato
bellissimo “fame nera”.
Ho
scoperto storie di grandi donne, come Teresa Noce”, dirigente
comunista piemontese (1900 - 1980), tra le poche donne elette
all’Assemblea Costituente che organizzo’ il trasferimento da
Napoli e Cassino, distrutti dalla seconda guerra mondiale. Non
conoscevo assolutamente la storia di San Severo, in provincia di
Foggia, dove la repressione delle richieste dei braccianti agricoli
di avere “pane e lavoro”, avvenuta il 23 marzo 1950, portò in
carcere per circa due anni moltissimi giovani, uomini e tante
giovani donne, padri e madri con prole, spesso numerosa, a carico. I
bambini, anche piccoli, si ritrovarono soli a casa per giorni e
quindi furono tutti trasferiti al nord, fino alla scarcerazione dei
genitori.

Sono
storie – quelle raccontate da Giovanni Rinaldi - di solidarietà
organizzata, ma è anche storia della capacità di entità politiche
(come il Partito Comunista Italiano) e sociali (come la C.G.I.L. e
l’Unione Donne Italiane) di rispondere a bisogni concreti ed
impellenti di vaste masse popolari, anche sfidando i pregiudizi del
tempo (“mica è vero che li portate in Russia?”). I
preti del sud spaventarono le mamme e i bambini dicendo che “i
comunisti mangiano i bambini”.
L’espressione
“treni della felicità” che dà il titolo al lavoro di ricerca ed
al volume fu dell’allora sindaco di Modena Alfeo Corassori, che
definì così i convogli che condussero quei bambini a vivere
un’esperienza unica, inimitabile, e leggendo le testimonianze fa
davvero tanta tenerezza la meraviglia di questi bambini che per la
prima volta bevono la cioccolata o mangiano la polenta.
Questi
bambini ricevettero un’accoglienza affettuosa ed un’ospitalità
presso
famiglie marchigiane e romagnole di volenterosi lavoratori e sono
rimasti con loro in ottimi rapporti di amicizia o di parentela
acquisita. Non era stato facile partire, non era semplice ritornare:
“Purtroppo il ritorno fu difficile, non tanto per noi quanto per i
nostri genitori che non potevano più soddisfare i nostri bisogni […
] Un grosso rimpianto per i nostri genitori che dicevano: ‘Ma
dove vi hanno portato? Vi hanno viziato! … Questi
bambini poverissimi si sono trovati all’improvviso in una babele di
benessere che non osavano sperare e sono cambiati dentro, per questo
il ritorno in famiglia è stato anche doloroso per alcuni che non
volevano tornare più.
Ho fatto un viaggio a contrario, direi, chiudendo un cerchio.
Ho conosciuto questa storia vedendo prima il filmato, poi ho letto il libro di Viola Ardone e poi il libro "i comunisti mangiano i bambini."
IL TRENO DEI BAMBINI
Ho
appena terminato questo libro che mi ha letteralmente scaraventato
nel passato. Letto con avidità, per leggere cose che ignoravo o
sapevo sommariamente e anche per il piacere di credere che non tutto
è perduto, se siamo riusciti a fare questo.
Un pezzo di storia
italiana che quasi nessuno sembra ricordare più, storia di
un’accoglienza e di quanto la cultura e la generosità di un popolo
sia o sembra cambiato, da una globalizzazione, che ci ha indurito i
cuori.
Resta
da chiedersi perché questa storia positiva sia ancora così poco
nota e perché gli stessi protagonisti, mostrino una certa difficoltà
a parlarne. Umiltà o vergogna? Perchè essere poveri è ancora una
vergogna da nascondere, essere ladri invece no.
L’altruismo e la solidarietà oggi sono quasi
considerate pecche dell’animo, una specie di pericolosa malattia
chiamata “sensibilità”, o “empatia”, una stortura capace di
portare il Paese intero alla rovina, vittima di approfittatori e
speculatori.
Diventa allora sempre più necessario ricordare di
quando queste erano le fondamenta del vivere civile ed erano
sentite come un dovere.
Il passato ha ancora qualcosa da insegnarci, se
non ce l’ha il presente.
Nell’immediato dopoguerra, un vecchio progetto di solidarietà
nato alla fine del 1946 dall’idea del “Comitato per la salvezza
dei bambini di Napoli” per ospitare, nutrire e curare i bambini
napoletani presso le famiglie contadine emiliane, meno provate dalla
guerra, creo’i famosi “treni della felicità”.
L’iniziativa traeva spunto da altre simili: bambini diretti in
Emilia-Romagna erano partiti da Roma e provincia fino a Velletri,
Cassino e Latina. Nel corso della sua durata, il progetto del
Comitato salvò concretamente dalla fame, analfabetismo e malattie
oltre 70 mila bambini, con il coinvolgimento anche di altre regioni,
come la Toscana, le Marche, l’Umbria e la Liguria.
Confrontandoci con la realtà italiana attuale, questa sembra una
favola, “una bella favola iniziata nel lontano 1947”. Racconta di
una straordinaria esperienza politica e sociale, voluta, promossa e
organizzata dal Partito comunista nei primi anni del secondo
dopoguerra, quando Napoli si trovava in una condizione
difficilissima. I bombardamenti subìti, le razzie naziste nella
parte finale dell’occupazione dopo le Quattro Giornate e la
povertà, avevano messo in ginocchio la più grande città del Sud.
“Nell’immenso tessuto urbano che rimarrà per mesi privo di
energia elettrica e di trasporti pubblici, gli abitanti sloggiati dai
bombardamenti si ammucchiano nei ricoveri antiaerei, nelle stazioni
della metropolitana e delle funicolari, tra le macerie, nelle grotte,
nei cunicoli […]. La scarsezza di acqua costringe donne, vecchi e
bambini a lunghissime file dinanzi alle poche fontane pubbliche
ancora in funzione. Se il servizio di nettezza urbana è inesistente,
tragica è la situazione sanitaria : gli ospedali semidistrutti
mancano di farmaci […]. Miseria e vergogna non nascono da una
vocazione patologica della gente napoletana, ma semplicemente dallo
sfacelo”.

Il Comitato nacque in questo contesto da un nutrito gruppo di
intellettuali capeggiati da Gaetano Macchiaroli, insieme ai partiti
di sinistra e ad altre forze democratiche e sindacali come l’Udi,
Unione Donne Italiane. L’idea era quella di far uscire dalla
durezza della condizione post bellica quanti più bambini napoletani
fosse possibile, dando loro l’occasione di conoscere, per la prima
volta, un’esperienza di vita più adatta alla loro età,
accogliendoli in città e regioni del centro-nord del Paese nelle
quali avrebbero trovato migliori possibilità di nutrirsi e di
crescere. Non che a quell’epoca altrove si navigasse nell’oro, ma
almeno si riusciva in qualche modo a mettere insieme il pranzo con la
cena.
I bambini furono individuati, “ripuliti”,
accompagnati da schede di riconoscimento, forniti di cappotti e
indumenti e preparati per lasciare Napoli. Con quali pensieri? I
bambini di un tempo ricordano e raccontano la paura della partenza –
a nessuno di loro era chiaro dove stessero andando e perché – ma
anche la meraviglia dell’arrivo. Coperte rimboccate, stanze
calde, giocattoli di stoffa e non di carta, scuole accoglienti,
salami appesi alle travi della cucina, uova fresche e latte: ai loro
occhi sembravano dei veri e propri miracoli. Ma sono
soprattutto le memorie della famiglia e della cura, scoperti per la
prima volta insieme al senso di responsabilità degli adulti nei loro
confronti, a essere ricordati con commozione: “A Napoli invece
ognuno doveva preoccuparsi di se stesso,” raccontano. Allo
stesso modo arrivano le testimonianze delle famiglie affidatarie: “Io
stavo per dire, molto a malincuore, di no, pensando alle precarie
condizioni, ma fu tale la gioia all’idea di fare del bene”.
Il ritorno a Napoli fu, per tutti, bambini e
adulti che si erano presi cura di loro, combattuto: i primi dovettero
più o meno consapevolmente arrendersi e rinunciare agli agi non solo
materiali ma anche emotivi, spesso richiamati in città dai genitori
perché dessero una mano alla famiglia d’origine lavorando; i
secondi, invece, dovettero lasciarli tornare in quel contesto che era
ancora poverissimo. Eppure non vi è traccia alcuna di pregiudizio
verso il Sud o di due diverse “Italie” che non riescono a
parlarsi: piuttosto, a emergere sono una serie di legami fortissimi
appena sotto la superficie degli eventi, mossi dalla solidarietà e
diventati, nel corso del tempo, un bel ricordo e, in alcuni casi, una
solida amicizia.

Prima di questo libro, già ero venuta a
conoscenza di questo fatto storico, leggendo il bellissimo libro
“I comunisti mangiano i bambini”, in cui con orrore ho appreso il
grande ostruzionismo e strumentalizzazione politica della Chiesa e
dei democristiani verso i comunisti, sempre dipinti come “mangiatori”
di bambini. I cattolici denunciarono una “tratta dei fanciulli”,
mentre diverse testate contribuirono a diffondere quella che oggi
chiameremmo una fake news, e cioè che i piccoli accompagnati ai
treni in partenza per l’Emilia sarebbero stati, in realtà, spediti
altrove dalla Sicilia, e cioè in Russia. I bambini furono
letteralmente terrorizzati da preti e suore e questi poveri bambini
partirono con dei traumi enormi. Gli avevano detto che gli avrebbero
tagliato le mani e altre cose orribili che facevano i comunisti. Il
lavoro di ricerca dei bambini in condizioni più disagiate fu dunque
complicato dalla propaganda negativa che raggiungeva le famiglie
soprattutto attraverso le parrocchie, ma il risultato, dopo la
partenza del primo convoglio, superò ogni aspettativa.
Grazie ai controlli medici fatti ai bambini prima
della partenza fu possibile avere una stima precisa di malattie e
infezioni e dopo le diffidenze iniziali, si riuscì a coinvolgere
anche gli oppositori politici della sinistra come la
Pachiochia,
una capopopolo monarchica che, una volta appurata la natura benefica
dell’iniziativa, si offrì per collaborare in prima persona con gli
organizzatori.
Fanno tenerezza tanti episodi raccontati nel libro e vissuti in
prima persona da questo bambino napoletano (che deciderà poi di
rimanere con la famiglia emiliana), come la meraviglia dei bambini
che, davanti alla neve, vista per la prima volta dal finestrino del
treno, la scambiarono per ricotta. In un’epoca in cui si era ancora
molto distanti per lingua e cultura, si fece un vero miracolo di
misericordia.
Ignoravo, storicamente parlando, che quella
esperienza del Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli fu
riproposta anche in altre situazioni di emergenza, come durante
l’alluvione del Polesine nel 1951 e in seguito allo sciopero di San
Severo nel 1950, a Foggia, che portò all’arresto di 184 persone,
tra cui molte donne costrette a lasciare i propri figli che vennero
temporaneamente “adottati” da famiglie del centro-nord Italia.
Consiglio la lettura di entrambi i libri per
capire un pezzo importantissimo della nostra cultura e della nostra
storia.
I COMUNISTI MANGIANO I BAMBINI

Senza ombra di dubbio credo che sia il libro più bello che abbia letto
ultimamente e non solo dal punto di vista storico, ma anche politico e
sociologico.
Quanti di noi si sono chiesti da cosa e come provenisse la diceria che i comunisti mangiano i bambini??
Io si, e questo libro non solo risponde ma innesca un fatto storico
talmente importante da dover essere obbligatorio leggerlo come dato di
guerra e dopoguerra.
Sembra che il fatto fosse storicamente vero, e nasceva molto probabilmente dal fatto che in Russia, nel secolo scorso, vi
furono gravi carestie durante le quali si registrarono anche episodi di
cannibalismo.
Tra il 1921 e il 1923 in Ucraina alcuni bambini vennero
rapiti e uccisi spacciandone poi la carne per animale.
E nel 1941, durante l’assedio di Leningrado (che uccise circa un
milione di persone), il cannibalismo divenne per alcuni una strategia di
sopravvivenza. Ancora più celebre è la storia dell’“Isola dei
cannibali” narrata anche dall’omonimo libro di Nicolas Werth: nel 1933,
13.000 “elementi pericolosi” vennero deportati nel cuore della Siberia;
quasi tutti morirono, anche uccidendosi tra loro, e gli episodi di
cannibalismo erano all’ordine del giorno.
Facciamo una piccola pausa e colleghiamoci alla Pincola Ester, con le
donne che corrono con i lupi. Ricordate gli orchi e il fatto che
mangiassero i bambini?!! Ebbene tutto questo è stato sostituito
nell'immaginario collettivo con i comunisti che per il fascimo e il
clero diventano gli orchi che mangiano i bambini. Tutto questo costruito
con fatti di cronaca completamente inventati per innestare rancore e
odio verso i russi e quindi i comunisti. Dai bambini siciliani rapiti a
forza sulle navi e portati in Russia per essere uccisi a tutto un
meccanismo giornalistico assoggettato ad una dittatura in cui la
comunicazione non era solo pilotata ma inventata per il proprio
tornaconto.
Solo questo dovrebbe spaventare davvero e questo libro apre il vaso di pandora.
Quello che si sospettava e che dovrebbe essere letto da tutti per capire
veramente la nostra storia e tutto quello che è successo nel dopoguerra
dalla democrazia cristiana e la Chiesa per incolpare i comunisti rossi
di tutte le malefatte.
La figura della madre e della donna diviene figura centrale nella
campagna stampa di diffamazione. Il soldato russo orcoe non i tedeschi.
Stalin raffigurato con le fattezze di un orco con il naso grande che
mangia i bambini. Dopo la grande guerra e i fatti delle stragi che i
tedeschi operarono nella ritirata, dovettero frenare nella campagna
contro i russi, amici degli alleati e liberatori della Patria.
Questo libro si collega
con il documentario "Pasta nera" che ho postato tempo fa, in cui si racconta il fatto dei bambini che nel dopoguerra andarono dal sud al nord per non morire di fame.
Tra il 1947 e 1952, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l'Italia è
devastata e tra le più dolorose condizioni c'è quella dei minori, specie
nel Mezzogiorno. Migliaia di famiglie di lavoratori del centro nord,
ispirate da una nuova consapevolezza e dalla speranza nella
ricostruzione del Paese, aprono le loro case ai bambini provenienti
dalle zone più colpite e di più antica miseria del Meridione.
L'iniziativa diventa ben presto un movimento nazionale che propone una
concezione della solidarietà e dell'assistenza attenta alle soluzioni
concrete ai problemi più urgenti, sostituendosi spesso all'assenza delle
istituzioni. Ma una iniziativa di donne della sinistra e quindi l'orco da osteggiare.
Accolti dalle famiglie di emilia romangna, veneto e rimmessi a nuovo,
sono stati salvati da morte certa. Purtroppo i preti dei paesi dicevano
alle mamme di non mandare i figli al nord perchè li avrebbero mangiati.
Mentivano sapendo di togliere un'occasione di riscatto e davvero di
vita, pur di dare contro alla sinistra e ai comunisti.
Bambini terrorizzati che partivano e sui treni della felicità, così
vennero chiamati, piangevano pensando di essere mangiati, una volta a
destinazione... orribile.
Mi vengono i brividi a leggere tutto questo e davvero, davvero vi consiglio di leggere questo libro.
PASTA NERA - I treni della felicitàhttps://www.youtube.com/watch?v=8LysqpaXscI&list=RDCMUCmgjBzkhYTJSbJPDX8fAcvA&start_radio=1&t=0