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lunedì 21 novembre 2022

Le Segnatrici

Magnifico giallo che mi ha tenuta incollata fino alle 4 di mattina... E alla fine il confine tra il male e il bene è veramente ingannevole. Intanto un magnifico libro ambientato in Italia, nelle nostre montagne e quindi con un approccio psicologico diverso dai soliti gialli stranieri. Scritto veramente bene con un ritmo incalzante che non riesci proprio a staccare. Bellissimo
La trama in grandi linee... “Il ritrovamento delle ossa di Claudia, bambina scomparsa ventidue anni fa, richiama a Borgo Cardo, nell’Appennino emiliano, Sara Romani, chirurgo oncologico di stanza a Bologna. Per lei il funerale è una pericolosa occasione di confronto con un passato da cui è fuggita appena ne ha avuto la possibilità. Al ritorno nella routine bolognese, il desiderio è quello di dimenticare. I segreti, gli amici d’infanzia rimasti inchiodati a una realtà carica di superstizioni e pregiudizi, le ossa di una compagna di giochi riemerse da un tempo lontano. Finché scompare un’altra bambina: Rebecca. Sara ha avuto giusto il tempo di conoscerla. Dopo il funerale Rebecca le ha curato una piccola ferita secondo l’antica tradizione della segnatura e adesso Sara è in debito con lei. Un legame che sa di promessa. Un filo rosso che unisce il passato di Sara, schiava della convinzione di dover salvare tutti, con un incubo appena riemerso dall’oblio. Mentre il paese si mobilita per ritrovare Rebecca, la donna è costretta a tornare. È l’inizio di una discesa negli inferi dell’Appennino, un viaggio doloroso nelle storie sepolte nel tempo attraverso strade, boschi, abitazioni e volti che lei aveva imparato a cancellare dalla memoria, e che ora diventano luoghi neri in cui cercare una bambina innocente. Quale oscuro mistero si cela dietro la secolare tradizione delle segnatrici? In una sfrenata corsa contro il tempo per scoprire chi ha rapito Rebecca e riuscire a salvarla prima che sia troppo tardi, Sara dovrà scendere a patti con una parte di sé messa a tacere ventidue anni prima. ...

Veramente buona lettura, lo consiglio vivamente.

Chi sono le segnatrici? ... Sono guaritrici di montagna. Esistono realmente le segnatrici. Sono figlie di una tradizione secolare che si è propagata nel tempo, grazie al passa-parola tra segnatrici anziane e segnatrici più giovani che imparano, a loro volta, le parole ed i segni. Una tradizione che nasce essenzialmente pagana e che acquisisce delle connotazioni pseudo religiose durante gli anni dell’Inquisizione. Poiché, per non essere bruciate sui roghi, le guaritrici cambiavano le loro formule in preghiere. La pratica della segnatura esiste tuttora fra i monti dell’Appennino. In altre regioni e… fra le montagne del Friuli, seppure in un’altra forma ancora.

venerdì 18 novembre 2022

Storia, curiosità, ricette e aneddoti sui budini

Dal fascino vintage e l’aspetto spesso barocco, i budini sanno ancora dire la loro nel mondo della pasticceria. Sapevate che non sono sempre stati dolci? Ecco come nascono e come si preparano.
L’origine dei budini... Il termine potrebbe derivare dal latino botellus, salsiccia, da cui con buone probabilità si è arrivati al francese boudin: in effetti, in origine i budini erano ben diversi da come li immaginiamo oggi. Si trattava, infatti, di impasti preparati nel budello di un animale, avvolto poi in un telo e messo in uno stampo, infine fatto bollire. Non si sa con precisione quale sia stato il primo budino della storia, ma quel che è certo è che già in epoca romana si usava questa tecnica per cucinare altro insieme al piatto principale, preparando tutto in un unico recipiente. Nel volume del Trecento “Il Ménagier de Paris” si possono leggere le ricette per il boudin blanc di salsiccia e il boudin noir, una specie di sanguinaccio; le prime preparazioni simili a quelle attuali iniziano a comparire solo nel Settecento, quando creme cotte e mousse diventano diffuse sulle tavole dei ceti più abbienti. Serviti nelle coppe o sul piatto, i budini rientrano oggi nella macro-categoria dei dolci al cucchiaio, che comprende molte tipologie di dessert: in qualsiasi caso, l’abitudine di servire dolci da mangiare con il cucchiaio era già diffusa al tempo di Alessandro il Grande, quando si consumavano coppe di neve fresca e frutta, antenate dei moderni sorbetti. I budini e la gelatina Morbidi, gelatinosi, talvolta trasparenti e ripieni di frutta, al cioccolato, farciti o cosparsi di zucchero da caramellare: la tradizione dei budini è ampia e variegata, e abbraccia moltissime culture gastronomiche. Elemento fondamentale per preparare alcuni tipi di budini è la gelatina: un tempo si utilizzava un brodo di ossa, concentrato e fatto freddare, oggi invece si utilizzano dei sottili fogli essiccati, da ammollare in acqua e aggiungere alle preparazioni, o fiocchi da aggiungere a caldo nei composti. La gelatina comincia a essere impiegata in cucina a partire dal II secolo d. C., e diventa onnipresente nei ricettari rinascimentali delle classi aristocratiche perché considerata un bene di lusso. Col tempo si è poi trasformata in un prodotto alla portata di tutti, tanto da rappresentare una delle principali derrate di cui fare scorta durante le guerre napoleoniche dell’Ottocento e durante la guerra d’Algeria del 1830, perché ricca di proteine. Per realizzarla, infatti, occorre il collagene degli animali, in particolare quello dei tessuti connettivi e delle ossa di suini, bovini e, in passato, anche delle lische dei pesci (è conosciuta, infatti, anche come “colla di pesce”, per via di un’antica procedura originaria della Russia, dove la gelatina veniva fatta con la vescica natatoria dello storione). Ma ci sono anche altri prodotti che hanno un potere gelificante e addensante, come per esempio l'agar agar, che deriva da un'alga rossa, la gomma xantana, e anche  l'amido di mais.
Sono moltissimi i budini della pasticceria internazionale, di seguito i 10 più celebri e diffusi. Forse non rientrano tutti tecnicamente nella categoria, ma si tratta comunque di preparazioni dolci, morbide ma compatte.

Aspic

Il termine indica una pietanza fredda composta da carne, pesce o verdura racchiusi in un involucro di gelatina, che in francese significa “aspide” (il nome è probabilmente legato alla forma degli stampi di una volta, che ricorda quella di un serpente arrotolato). Inventore ufficiale della ricetta è lo chef di Napoleone, Marie-Antoine Carême, che la annovera fra gli chaud-froids (letteralmente “caldo-freddo”), delle preparazioni cucinate calde ma servite fredde. Scenografico e vistoso, l’aspic è stato uno dei piatti cult degli anni ’80 e inizio ’90, spesso nella variante dolce alla frutta. Prepararlo è semplice, basta solo avere un po’ di pazienza e attendere i tempi di addensamento della gelatina: punto forte del piatto è la trasparenza che permette di intravedere gli ingredienti all’interno e creare così effetti colorati e originali.

Bavarese

Non lasciatevi fuorviare dal nome: la bavarese non è nata in Germania ma nella Francia dell'Ottocento, da dove si è poi diffusa negli altri Paesi grazie alla bravura e la fama dei maestri pasticceri d'Oltralpe. Un dolce ricco a base di latte, zucchero, uova, panna fresca e gelatina, ispirato alla crema inglese - preparazione dagli ingredienti molto simili - ma più denso e simile a un budino. Bianca nella versione classica, può essere anche preparata con il cioccolato, le fragole o altra frutta di stagione.

Biancomangiare

Con questo termine oggi si pensa immediatamente a un dessert a base di mandorle, ma durante il Medioevo il biancomangiare era semplicemente un piatto di colore bianco, sia dolce che salato, destinato ai ceti più abbienti. Per prepararlo erano necessari ingredienti come latte, mandorle, riso, ma anche lardo o petto di pollo. Plausibile la teoria secondo cui la ricetta sarebbe nata in Francia con il nome di blanc manger, ma oggi è uno dei vanti della cucina italiana, particolarmente legato alla Sicilia, la Sardegna e la Valle d’Aosta. Ne parla anche Pellegrino Artusi, che indica le seguenti dosi: “Mandorle dolci con tre amare, grammi 150. Zucchero in polvere, grammi 150. Colla di pesce in fogli, grammi 20. Panna, o fior di latte, mezzo bicchiere a buona misura. Acqua, un bicchiere e mezzo. Acqua di fior d’arancio, due cucchiaiate”.

Bonèt

La pasticceria piemontese è sontuosa e raffinata, e il bonèt non fa eccezione. Una versione primordiale di questo budino al cioccolato veniva preparata (senza cacao) tra le Langhe e il Monferrato già nel Medioevo come portata finale dei banchetti più sfarzosi. Latte, uova, amaretti e zucchero erano gli ingredienti principali a quel tempo: è solo nel Settecento che il bonèt inizia a essere prodotto con il cioccolato, trasformandosi nel dessert godurioso che tutti conosciamo. Il nome deriva dal cappello tondeggiante che ricorda la forma dello stampo in cui veniva preparato, detto “bonèt ed cusin”, ovvero “cappello da cucina”.

Crème brulée

Forse non è proprio un budino, ma la consistenza di questa crema densa è molto simile: la prima ricetta scritta nei libri di cucina francese compare nel 1691 nel volume “Cuisinier royal et bourgeois” dello chef François Massialot, che cita una preparazione un po’ diversa, con un disco caramellato aggiunto alla fine in superficie. Il successo del dolce – consacrato anche dal film “Il favoloso mondo di Amélie” – è diventato col tempo sempre più internazionale, raggiungendo un po' tutto il mondo, a cominciare dall’America, dove venne addirittura servito da Thomas Jefferson alla Casa Bianca. Negli anni ’50 e ’60 era immancabile nelle riviste di cucina e ricettari statunitensi, ma il vero boom ci fu dopo che uno dei più famosi e raffinati ristoranti di New York, Le Cirque, lo inserì nel proprio menu. La crema bruciata ha iniziato così a fare il giro dell’America, fino a diventare un vero trend, dando vita a gelati, donuts, cupcakes e dolci di ogni tipo “al gusto di crème brulée”. Il punto di forza? La crosticina superiore fatta con zucchero bruciato con l’aiuto di un cannello.

Crema catalana

Simile, ma dalla storia ben diversa, è la ricetta della crema catalana spagnola. Secondo la leggenda furono le monache catalane a inventarla in occasione della visita del vescovo: in origine doveva essere un budino, ma il risultato era troppo liquido e così cosparsero dello zucchero caramellato caldo in superficie per camuffare l’errore. A differenza della preparazione francese, la crema catalana si caratterizza per la presenza della cannella e si prepara con solo latte, senza aggiunta di panna; il dessert spagnolo, infine, viene cotto in un pentolino mentre la crème brulée in forno a bagnomaria.

Crème caramel

Anche in questo caso non ci sono particolari informazioni circa l’origine del dessert: del resto, già greci e romani consumavano abitualmente dolcetti fatti con uova e latte, dalla consistenza densa e compatta. Rintracciarne la nascita esatta, quindi, non è facile: le pietanze si sono evolute nel tempo a seconda delle tradizioni locali e i cambiamenti sociali, e mai come nel caso del crème caramel i pareri sono contrastanti. Molti ritengono si tratti di una specialità portoghese, ma il nome francese potrebbe suggerire altre origini: in qualsiasi caso, stiamo parlando di un dolce goloso fatto con uova, latte e zucchero, senza utilizzo di gelatina o altri addensati. Il tutto ricoperto da delizioso caramello. Cugino emiliano del dolce è il fiordilatte bolognese, preparazione di antiche origini nata probabilmente per conservare latte e uova prima dell’invenzione del frigorifero. Una ricetta appartenente, quindi, alla cultura contadina, dagli ingredienti e il procedimento pressoché identici a quelli del crème caramel.

Flan

Nella versione dolce o salata, i flan francesi sono preparazioni versatili e adatte a ogni occasione. In pasticceria si realizzano solitamente con latte, uova e vaniglia, mentre il comparto salato propone più varianti. Morbidi e compatti, questi sformatini sono infatti ideali da servire a fine pasto oppure, se fatti con verdure o formaggi, come sfizioso aperitivo. Evoluzione dolce ancora più golosa è quella del flan parisienne, un guscio di fragrante pasta sfoglia che racchiude l’impasto di latte e uova, messo in forno a compattare.

Panna cotta

Altro simbolo della cucina anni '80, fine pasto perfetto dopo una cena in pizzeria, la panna cotta è uno dei dolci più diffusi in Italia. Golosa e candida, la si può gustare in purezza o arricchita con sciroppi, glasse, frutta o cioccolato. Non ci sono molte fonti circa la sua nascita, ma si tratta di un dolce tradizionale piemontese, secondo i racconti popolari nato a inizio Novecento grazie a una signora ungherese residente nelle Langhe. Bisogna attendere gli anni '60 prima che lo chef Ettore Songia metta per la prima volta la ricetta nero su bianco la ricetta. Storia e aneddoti a parte, la panna cotta è un dessert semplice a prova di dilettante: veloce e pratico, può essere impreziosito con ingredienti diversi a seconda dei gusti personali, servito in unico stampo da tagliare a fette oppure in tante piccole monoporzioni.

Pudding

Con il termine pudding in inglese ci si riferisce a molte preparazioni: tortini di pane e crema oppure budini più morbidi e gelatinosi. Pietanze dalla storia antica: la prima comparsa della ricetta nella letteratura europea risale addirittura all’800 a.C. con l’Odissea di Omero, ma secondo gli storici della gastronomia britannica la pietanza ha fatto sempre parte dell’alimentazione degli inglesi. Nel tempo hanno vissuto momenti di grande fortuna: per esempio nel Medioevo, quando i banchetti si fecero più sfarzosi, i pudding cominciarono a essere molto comuni tra le tavole nobiliari, tanto che nel 1407 per l’insediamento del vescovo Clifford venne preparata una gelatina a forma di castello, con un diavolo e un prete al centro di un fossato di crema. I pudding continuarono nel tempo a farsi conoscere per tutto il Paese.


martedì 8 novembre 2022

La cucina inglese di Miss Eliza

 

Le spezie esotiche che arrivano giornalmente dalle Indie Orientali e dalle Americhe, le casse di arance dolci e limoni amari dalla Sicilia, le albicocche dalla Mesopotamia, l’olio d’oliva da Napoli, le mandorle dalla valle del Giordano… prelibatezze al mercato. Ma qualche inglese sa cucinare con cibi del genere? Ripenso al mio tempo in Francia e in Italia, a tutte le prelibatezze che mi sono passate per la lingua.
La mia mente torna al piccione arrosto, e di nuovo sono in Francia... i vasetti di rillette con quell'aroma di aglio, i prosciutti disossati e rivestiti di una patina gialla di pangrattato, i sanguinacci arrotolati come serpenti, le terrine e i patè, le salsisse di Lione e di Arles, le guance di salmone alla genovese, centinaia di tipi di formaggi, i meloni profumati, le albicocche al miele... Scuoto la testa e riconduco i miei pensieri ai piccioni... per l'imbottituta serve anche un pezzettino di burro e forse è il caso di passarlo prima nel prezzemolo tritato o nel pepe di Caienna?

 La cucina inglese di Miss Eliza


 Sono entrata in questo libro in punta di piedi. 

All'inizio è la storia di una famiglia caduta in disgrazia e costretta a lavorare e parallelamente il racconto di estrema povertà di gente di paese. Ecco qui la fame si tocca con mano. Ti entra dentro le ossa e senti la sofferenza di quei tempi, reale e così lontana da noi oggi.

Poi è arrivata la cucina. La passione del cucinare direi e la descrizione minuziosa di ingredienti e spezie in cui ti sembra di sentirne il profumo. Si, l'odore dei piatti e anche un innesco di voglia di fare e cucinare. Sono ricette di altri tempi e molto lontane dal mio modo di mangiare. Lavorando cucino poco e faccio solo piatti veloci. Anche non dover organizzare mai pranzi o cene negli anni mi ha impigrito non poco e lascio ad altri della mia famiglia il compito di cucinare ricette più elaborate.

Mi piace la sorellanza che si crea in questa cucina e soprattutto il riscatto di donne sole e indipendenti.

Consiglio la lettura per una paura rilassante.

Ovviamente è una storia vera, o meglio l'inizio del racconto di una storia vera. Il manuale "Modern Cookery for Private Families",  della poetessa Eliza Acton fu pubblicato per la prima volta nel 1845, destinato a sovvertire gli schemi dei classici libri di ricette e a influenzare tutte le successive generazioni di scrittori di cucina.

Perchè il libro parla di questo. Una  ragazza che ama profondamento cucinare e decide di scrivere un libro di cucina, diverso da quello dei tempi ... e a quanto pare, ci riesce.

Molte delle ricette le furono fornite da amici, come descritto anche nel libro.
Modern Cookery divenne molto popolare, ne furono stampate diverse edizioni e rimase il libro di cucina di riferimento fino alla fine del secolo.
Rispetto
ai ricettari pubblicati fino a quel momento, per la prima volta venivano elencati con precisione ingredienti e dosi, tempi di cottura e possibili criticità di ogni ricetta. 

Se poi vogliamo considerare l'avvento di un periodo storico con difficoltà economiche, in cui diventò più difficile avere un cuoco in casa e il compito di cucinare divenne mansione della padrona di casa, al massimo coadiuvata dalle donne di servizio. Insomma davvero un grande aiuto sociale e culinario. Oltretutto il manuale influenzò profondamente la tecnica di scrittura dei ricettari successivi.

Inoltre questo libro è anche la storia di donne che scrivevano di poesia e di teatro e tanto dovevano faticare per essere riconosciute, apprezzate e soprattutto pubblicate.