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martedì 20 ottobre 2020

I treni della felicità... quando la solidarietà salvo' migliaia di bambini dalla fame nera

 I TRENI DELLA FELICITA'

Viaggio alla scoperta di un’Italia tra passione politica e solidarietà umana


H o terminato in un pomeriggio il libro di Giovanni Rinaldi - I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie, edita nel settembre 2009 da Ediesse nella collana Cartabianca, con una bellissima prefazione di Miriam Mafai.

Ho scoperto una storia dell’Italia dell’immediato dopoguerra di cui non c’è più memoria, se non nella memoria di coloro che all’epoca ne furono protagonisti: bambine e bambini, ragazze e ragazzi, oggi anziani, ed adulti. L’unica testimonianza già edita (nel 1981, ma introvabile) sulla storia di quelle migliaia di bambini fu il libro, Cari bambini vi aspettiamo con gioia.

Insieme al regista barese Alessandro Piva, Rinaldi ha ricostruito sul campo le storie di alcuni tra quelle migliaia di bambini appartenenti a famiglie povere e poverissime di un Sud arretratissimo, provato dai bombardamenti, dalle distruzioni e dalle miseria della seconda guerra mondiale, che lasciarono temporaneamente le loro famiglie e furono ospitati da famiglie emiliane, romagnole e marchigiane. Questo libro è un documentario su cui si è poi ispirato il filmato bellissimo “fame nera”.

Ho scoperto storie di grandi donne, come Teresa Noce”, dirigente comunista piemontese (1900 - 1980), tra le poche donne elette all’Assemblea Costituente che organizzo’ il trasferimento da Napoli e Cassino, distrutti dalla seconda guerra mondiale. Non conoscevo assolutamente la storia di San Severo, in provincia di Foggia, dove la repressione delle richieste dei braccianti agricoli di avere “pane e lavoro”, avvenuta il 23 marzo 1950, portò in carcere per circa due anni moltissimi giovani, uomini e tante giovani donne, padri e madri con prole, spesso numerosa, a carico. I bambini, anche piccoli, si ritrovarono soli a casa per giorni e quindi furono tutti trasferiti al nord, fino alla scarcerazione dei genitori.

Sono storie – quelle raccontate da Giovanni Rinaldi - di solidarietà organizzata, ma è anche storia della capacità di entità politiche (come il Partito Comunista Italiano) e sociali (come la C.G.I.L. e l’Unione Donne Italiane) di rispondere a bisogni concreti ed impellenti di vaste masse popolari, anche sfidando i pregiudizi del tempo (“mica è vero che li portate in Russia?”). I preti del sud spaventarono le mamme e i bambini dicendo che “i comunisti mangiano i bambini”.

L’espressione “treni della felicità” che dà il titolo al lavoro di ricerca ed al volume fu dell’allora sindaco di Modena Alfeo Corassori, che definì così i convogli che condussero quei bambini a vivere un’esperienza unica, inimitabile, e leggendo le testimonianze fa davvero tanta tenerezza la meraviglia di questi bambini che per la prima volta bevono la cioccolata o mangiano la polenta.

Questi bambini ricevettero un’accoglienza affettuosa ed un’ospitalità presso famiglie marchigiane e romagnole di volenterosi lavoratori e sono rimasti con loro in ottimi rapporti di amicizia o di parentela acquisita. Non era stato facile partire, non era semplice ritornare: “Purtroppo il ritorno fu difficile, non tanto per noi quanto per i nostri genitori che non potevano più soddisfare i nostri bisogni [… ] Un grosso rimpianto per i  nostri genitori che dicevano: ‘Ma dove vi hanno portato? Vi hanno viziato! … Questi bambini poverissimi si sono trovati all’improvviso in una babele di benessere che non osavano sperare e sono cambiati dentro, per questo il ritorno in famiglia è stato anche doloroso per alcuni che non volevano tornare più.


Ho fatto un viaggio a contrario, direi, chiudendo un cerchio. 

Ho conosciuto questa storia vedendo prima il filmato, poi ho letto il libro di Viola Ardone e poi il libro "i comunisti mangiano i bambini."

 IL TRENO DEI BAMBINI

Ho appena terminato questo libro che mi ha letteralmente scaraventato nel passato. Letto con avidità, per leggere cose che ignoravo o sapevo sommariamente e anche per il piacere di credere che non tutto è perduto, se siamo riusciti a fare questo.
Un pezzo di storia italiana che quasi nessuno sembra ricordare più, storia di un’accoglienza e di quanto la cultura e la generosità di un popolo sia o sembra cambiato, da una globalizzazione, che ci ha indurito i cuori.

Resta da chiedersi perché questa storia positiva sia ancora così poco nota e perché gli stessi protagonisti, mostrino una certa difficoltà a parlarne. Umiltà o vergogna? Perchè essere poveri è ancora una vergogna da nascondere, essere ladri invece no.
L’altruismo e la solidarietà oggi sono quasi considerate pecche dell’animo, una specie di pericolosa malattia chiamata “sensibilità”, o “empatia”, una stortura capace di portare il Paese intero alla rovina, vittima di approfittatori e speculatori.
Diventa allora sempre più necessario ricordare di quando queste erano le fondamenta del vivere civile ed erano sentite come un dovere.
Il passato ha ancora qualcosa da insegnarci, se non ce l’ha il presente.


Nell’immediato dopoguerra, un vecchio progetto di solidarietà nato alla fine del 1946 dall’idea del “Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli” per ospitare, nutrire e curare i bambini napoletani presso le famiglie contadine emiliane, meno provate dalla guerra, creo’i famosi “treni della felicità”.
L’iniziativa traeva spunto da altre simili: bambini diretti in Emilia-Romagna erano partiti da Roma e provincia fino a Velletri, Cassino e Latina. Nel corso della sua durata, il progetto del Comitato salvò concretamente dalla fame, analfabetismo e malattie oltre 70 mila bambini, con il coinvolgimento anche di altre regioni, come la Toscana, le Marche, l’Umbria e la Liguria.
Confrontandoci con la realtà italiana attuale, questa sembra una favola, “una bella favola iniziata nel lontano 1947”. Racconta di una straordinaria esperienza politica e sociale, voluta, promossa e organizzata dal Partito comunista nei primi anni del secondo dopoguerra, quando Napoli si trovava in una condizione difficilissima. I bombardamenti subìti, le razzie naziste nella parte finale dell’occupazione dopo le Quattro Giornate e la povertà, avevano messo in ginocchio la più grande città del Sud. “Nell’immenso tessuto urbano che rimarrà per mesi privo di energia elettrica e di trasporti pubblici, gli abitanti sloggiati dai bombardamenti si ammucchiano nei ricoveri antiaerei, nelle stazioni della metropolitana e delle funicolari, tra le macerie, nelle grotte, nei cunicoli […]. La scarsezza di acqua costringe donne, vecchi e bambini a lunghissime file dinanzi alle poche fontane pubbliche ancora in funzione. Se il servizio di nettezza urbana è inesistente, tragica è la situazione sanitaria : gli ospedali semidistrutti mancano di farmaci […]. Miseria e vergogna non nascono da una vocazione patologica della gente napoletana, ma semplicemente dallo sfacelo”.



Il Comitato nacque in questo contesto da un nutrito gruppo di intellettuali capeggiati da Gaetano Macchiaroli, insieme ai partiti di sinistra e ad altre forze democratiche e sindacali come l’Udi, Unione Donne Italiane. L’idea era quella di far uscire dalla durezza della condizione post bellica quanti più bambini napoletani fosse possibile, dando loro l’occasione di conoscere, per la prima volta, un’esperienza di vita più adatta alla loro età, accogliendoli in città e regioni del centro-nord del Paese nelle quali avrebbero trovato migliori possibilità di nutrirsi e di crescere. Non che a quell’epoca altrove si navigasse nell’oro, ma almeno si riusciva in qualche modo a mettere insieme il pranzo con la cena.
I bambini furono individuati, “ripuliti”, accompagnati da schede di riconoscimento, forniti di cappotti e indumenti e preparati per lasciare Napoli. Con quali pensieri? I bambini di un tempo ricordano e raccontano la paura della partenza – a nessuno di loro era chiaro dove stessero andando e perché – ma anche la meraviglia dell’arrivo. Coperte rimboccate, stanze calde, giocattoli di stoffa e non di carta, scuole accoglienti, salami appesi alle travi della cucina, uova fresche e latte: ai loro occhi  sembravano dei veri e propri miracoli. Ma sono soprattutto le memorie della famiglia e della cura, scoperti per la prima volta insieme al senso di responsabilità degli adulti nei loro confronti, a essere ricordati con commozione: “A Napoli invece ognuno doveva preoccuparsi di se stesso,” raccontano. Allo stesso modo arrivano le testimonianze delle famiglie affidatarie: “Io stavo per dire, molto a malincuore, di no, pensando alle precarie condizioni, ma fu tale la gioia all’idea di fare del bene”.
Il ritorno a Napoli fu, per tutti, bambini e adulti che si erano presi cura di loro, combattuto: i primi dovettero più o meno consapevolmente arrendersi e rinunciare agli agi non solo materiali ma anche emotivi, spesso richiamati in città dai genitori perché dessero una mano alla famiglia d’origine lavorando; i secondi, invece, dovettero lasciarli tornare in quel contesto che era ancora poverissimo. Eppure non vi è traccia alcuna di pregiudizio verso il Sud o di due diverse “Italie” che non riescono a parlarsi: piuttosto, a emergere sono una serie di legami fortissimi appena sotto la superficie degli eventi, mossi dalla solidarietà e diventati, nel corso del tempo, un bel ricordo e, in alcuni casi, una solida amicizia.


Prima di questo libro, già ero venuta a conoscenza di questo fatto storico, leggendo il bellissimo libro “I comunisti mangiano i bambini”, in cui con orrore ho appreso il grande ostruzionismo e strumentalizzazione politica della Chiesa e dei democristiani verso i comunisti, sempre dipinti come “mangiatori” di bambini. I cattolici denunciarono una “tratta dei fanciulli”, mentre diverse testate contribuirono a diffondere quella che oggi chiameremmo una fake news, e cioè che i piccoli accompagnati ai treni in partenza per l’Emilia sarebbero stati, in realtà, spediti altrove dalla Sicilia, e cioè in Russia. I bambini furono letteralmente terrorizzati da preti e suore e questi poveri bambini partirono con dei traumi enormi. Gli avevano detto che gli avrebbero tagliato le mani e altre cose orribili che facevano i comunisti. Il lavoro di ricerca dei bambini in condizioni più disagiate fu dunque complicato dalla propaganda negativa che raggiungeva le famiglie soprattutto attraverso le parrocchie, ma il risultato, dopo la partenza del primo convoglio, superò ogni aspettativa.
Grazie ai controlli medici fatti ai bambini prima della partenza fu possibile avere una stima precisa di malattie e infezioni e dopo le diffidenze iniziali, si riuscì a coinvolgere anche gli oppositori politici della sinistra come la Pachiochia, una capopopolo monarchica che, una volta appurata la natura benefica dell’iniziativa, si offrì per collaborare in prima persona con gli organizzatori.
Fanno tenerezza tanti episodi raccontati nel libro e vissuti in prima persona da questo bambino napoletano (che deciderà poi di rimanere con la famiglia emiliana), come la meraviglia dei bambini che, davanti alla neve, vista per la prima volta dal finestrino del treno, la scambiarono per ricotta. In un’epoca in cui si era ancora molto distanti per lingua e cultura, si fece un vero miracolo di misericordia.



Ignoravo, storicamente parlando, che quella esperienza del Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli fu riproposta anche in altre situazioni di emergenza, come durante l’alluvione del Polesine nel 1951 e in seguito allo sciopero di San Severo nel 1950, a Foggia, che portò all’arresto di 184 persone, tra cui molte donne costrette a lasciare i propri figli che vennero temporaneamente “adottati” da famiglie del centro-nord Italia.


Consiglio la lettura di entrambi i libri per capire un pezzo importantissimo della nostra cultura e della nostra storia.

  I COMUNISTI MANGIANO I BAMBINI

 


Senza ombra di dubbio credo che sia il libro più bello che abbia letto ultimamente e non solo dal punto di vista storico, ma anche politico e sociologico.

Quanti di noi si sono chiesti da cosa e come provenisse la diceria che i comunisti mangiano i bambini??
Io si, e questo libro non solo risponde ma innesca un fatto storico talmente importante da dover essere obbligatorio leggerlo come dato di guerra e dopoguerra.

Sembra che il fatto fosse storicamente vero, e nasceva molto  probabilmente dal fatto che in Russia, nel secolo scorso, vi furono gravi carestie durante le quali si registrarono anche episodi di cannibalismo.

Tra il 1921 e il 1923 in Ucraina alcuni bambini vennero rapiti e uccisi spacciandone poi la carne per animale.


E nel 1941, durante l’assedio di Leningrado (che uccise circa un milione di persone), il cannibalismo divenne per alcuni una strategia di sopravvivenza. Ancora più celebre è la storia dell’“Isola dei cannibali” narrata anche dall’omonimo libro di Nicolas Werth: nel 1933, 13.000 “elementi pericolosi” vennero deportati nel cuore della Siberia; quasi tutti morirono, anche uccidendosi tra loro, e gli episodi di cannibalismo erano all’ordine del giorno.

Facciamo una piccola pausa e colleghiamoci alla Pincola Ester, con le donne che corrono con i lupi. Ricordate gli orchi e il fatto che mangiassero i bambini?!! Ebbene tutto questo è stato sostituito nell'immaginario collettivo con i comunisti che per il fascimo e il clero diventano gli orchi che mangiano i bambini. Tutto questo costruito con fatti di cronaca completamente inventati per innestare rancore e odio verso i russi e quindi i comunisti. Dai bambini siciliani rapiti a forza sulle navi e portati in Russia per essere uccisi a tutto un meccanismo giornalistico assoggettato ad una dittatura in cui la comunicazione non era solo pilotata ma inventata per il proprio tornaconto.

Solo questo dovrebbe spaventare davvero e questo libro apre il vaso di pandora.
Quello che si sospettava e che dovrebbe essere letto da tutti per capire veramente la nostra storia e tutto quello che è successo nel dopoguerra dalla democrazia cristiana e la Chiesa per incolpare i comunisti rossi di tutte le malefatte.
La figura della madre e della donna diviene figura centrale nella campagna stampa di diffamazione. Il soldato russo orcoe non i tedeschi. Stalin raffigurato con le fattezze di un orco con il naso grande che mangia i bambini.  Dopo la grande guerra e i fatti delle stragi che i tedeschi operarono nella ritirata, dovettero frenare nella campagna contro i russi, amici degli alleati e liberatori della Patria.

Questo libro si collega con il documentario "Pasta nera" che ho postato tempo fa, in cui si racconta il fatto dei bambini che nel dopoguerra andarono dal sud al nord per non morire di fame.
Tra il 1947 e 1952, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l'Italia è devastata e tra le più dolorose condizioni c'è quella dei minori, specie nel Mezzogiorno. Migliaia di famiglie di lavoratori del centro nord, ispirate da una nuova consapevolezza e dalla speranza nella ricostruzione del Paese, aprono le loro case ai bambini provenienti dalle zone più colpite e di più antica miseria del Meridione. L'iniziativa diventa ben presto un movimento nazionale che propone una concezione della solidarietà e dell'assistenza attenta alle soluzioni concrete ai problemi più urgenti, sostituendosi spesso all'assenza delle istituzioni. Ma una iniziativa di donne della sinistra e quindi l'orco da osteggiare.
Accolti dalle famiglie di emilia romangna, veneto e rimmessi a nuovo, sono stati salvati da morte certa. Purtroppo i preti dei paesi dicevano alle mamme di non mandare i figli al nord perchè li avrebbero mangiati. Mentivano sapendo di togliere un'occasione di riscatto e davvero di vita, pur di dare contro alla sinistra e ai comunisti.
Bambini terrorizzati che partivano e sui treni della felicità, così vennero chiamati, piangevano pensando di essere mangiati, una volta a destinazione... orribile.

Mi vengono i brividi a leggere tutto questo e davvero, davvero vi consiglio di leggere questo libro.


PASTA NERA - I treni della felicità

https://www.youtube.com/watch?v=8LysqpaXscI&list=RDCMUCmgjBzkhYTJSbJPDX8fAcvA&start_radio=1&t=0 

8 commenti:

  1. Tutti a lamentarsi per le limitazioni dovute al Covid...i nostri nonni vissero situazioni ben peggiori, vere tragedie! Conoscere il passato ci aiuta ad essere grati per ciò che abbiamo adesso, nonostante il Covid.

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    1. Lo studio della storia nelle scuole dovrebbe essere questo... partire dal dopoguerra e non dai romani che tanto poi per un motivo e per un'altro si arriva alla prima guerra mondiale. E manca tutta l'infomrazione storica che è alla base della società di oggi... anche questa storia dei bambini, non la conosce nessuno. Assurdo

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  2. grazie Elisa, non è da tutti far quadrare i cerchi ;-) e una recensione a 11 anni dall'uscita del mio piccolo libro fa enormemente piacere

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    1. è stato veramente un onore incrociarla sulla mia strada... Elisa

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    2. Gentile Elisa, il 23 settembre, per Solferino, esce il mio nuovo libro "C'ero anch'io su quel treno. La vera storia dei bambini che unirono l'Italia". Mi piacerebbe fargliene recapitare copia dall'ufficio stampa. Ma ho bisogno del suo recapito :-)
      La mia mail: giorinaldi54@gmail.com

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    3. La ringrazio infinitamente per il pensiero e lo leggerò con piacere e curiosità... le ho inviato il mio indirizzo alla sua email. Ancora Grazie

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  3. Ho letto il libro di Viola Ardone, che ha un modo poetico di descrivere la realtà. Ottima scelta.
    Non ho letto il libro di Rinaldi, lo aggiungo alla mia lista.

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