Pochi
giorni di ferie passati al mare in famiglia e un libro che mi ha lasciato un
segno dentro. Edoardo Nesi, premio strega 2011. La rabbia e l’amore della mia
vita da industriale di provincia.
Credo che
la storia di Prato e dei cinesi sia in grandi linee conosciuta da tutti, ma
vista da vicino momento per momento è stato come immergersi dentro di noi,
sangue, lacrime, sofferenza e rassegnazione.
Storia di
imprenditori di provincia che si vedono costretti a vendere tutto e veder crollare
tutto un mondo, un tessuto sociale intorno a loro.
“non c’è
nessuno, invece, che debba chiederci scusa per averci condannato a essere la
prima generazione da secoli che andrà a star peggio di quella dei nostri
genitori? Per averci fatto nascere e costruire i nostri sacrosanti sogni di
benessere e poi averci lasciati senza soldi e senza lavoro proprio quando
arrivava il momento di viverli, quei sogni?...”
Ancora
oggi ci domandiamo tutti come sia potuto accadere.
La cecità
dei nostri governanti certo, e la politica del non proteggersi, con ogni mezzo,
a questa globalizzazione che non ha fatto gli interessi locali e permesso ai
cinesi di invadere il mercato con prezzi ultra convenienti a scapito di
qualsiasi controllo e qualità.
E’ chiaro
che i soldi che si risparmiano con i prodotti cinesi sono gli stessi soldi che
servivano a pagare gli stipendi degli operai italiani, i mutui delle loro case
e le loro pensioni, le scuole dei loro figli, le loro macchine, i vestiti…
insomma tutto.
Per
ingenuità all’inizio si è pensato che il mercato cinese con i costi di
produzione bassi avrebbe consentito agli italiani ed europei di guadagnare sul
mercato mondiale. Peccato che nessuno a pensato che i cinesi una volta aperto i
mercati abbiano deciso di copiare tutto il copiabile con le loro materie prime
e i loro costi di produzione.
Altro che
tessuti italiani di pregio e qualità.
Questo
libro è di una nostalgia e malinconia struggente. I tessuti sono stati creati e
tessuti da persone, a cui è stato dato un nome e venivano riconosciuti a
seconda delle famiglie che ne creavano il disegno e il colore. Abbiamo perso
una ricchezza di inestimabile valore, mentre chi ci governa pensava a giocare
sempre lo stesso gioco dell’interesse personale.
Nessuno a
pensato che un popolo abituato a lavorare sotto una dittatura per 10 dollari al
mese con orari massacranti avrebbe retto e gioito nel lavorare nel nostro paese
agli stessi orari e stremi per 50 euro a settimana. Praticamente l’America.
Abbiamo
perso ogni tutela sul lavoro perché in questa globalizzazione alla fine regna
il dio denaro e pur di guadagnare si è passati sopra a qualsiasi diritto e
tutela, a favore di regole e paesi dove il lavoratore è meno tutelato e meno
pagato.
Il libero
mercato è un fallimento.
Alla fine
fanno cartello e si preme al rialzo, mai al ribasso.
Si vede
ancora adesso con la telefonia, gas e luce. Bollette triplicate negli anni. Un
furto e un inganno.
Tutte le
lotte sindacali fatte dai nostri padri si sono perse in pochissimi anni e
adesso sembrano una chimera per molti, forse per sempre.
Sotto la
dittatura dei mercati siamo tutti sotto ricatto e pur di lavorare e vivere si
china la testa e si va avanti… si tira a campare, a scapito di regole e
diritti. Tutto pur di pagare il mutuo, le bollette a fine mese e crescere i
figli.
Siamo
solo dei fantasmi di quello che avremmo potuto essere e siamo il fallimento di
un’intera generazione che ha potuto combattere e alzare la testa e gridare il
giusto.
Altrimenti
Berlusconi non sarebbe dove ancora stà e non continuerebbe a parlare come
ancora fa. Un popolo senza morale e senso di responsabilità è allo sbando, in
balia dei prepotenti e delle facce toste che si permettono qualsiasi delinquenza
con la tenacia di guidare le persone verso il baratro. Tutti dentro il
calderone e pazienza per i morti. In mancanza di guerre di qualche cosa si
dovrà pur morire. Siamo numeri per loro e i suicidi ormai si leggono a
colazione davanti al caffè e al cornetto come stato di fatto. Troppo faticoso
guardare dentro queste storie di dignità e di sofferenza. Meglio ignorare e
pensare ad altre bugie da dire, anzi da urlare. Così sembrano verità.