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venerdì 31 gennaio 2020

Le grandi epidemie

Una nuova peste si stà abbattendo sulle nostre realtà, e quindi anche mossa da curiosità ho fatto una piccola ricerca in internet... 

Credo che le poche condizioni igieniche e una normale prassi di diminuzione della popolazione terrestre, dovuto forse ad un orologio di sopravvivenza di fronte ad un numero troppo elevato di persone, crei le condizioni per una epidemia e le sue conseguenze...


 La peste nera del Trecento

Una delle prime epidemie di cui si ha traccia è quella di febbre tifoide durante la guerra del Peloponneso, nel V secolo avanti Cristo. Il focolaio della cosiddetta “peste di Atene” colpì gran parte del Mediterraneo orientale. Nelle cronache del VI secolo dopo Cristo trova invece largo spazio il morbo di Giustiniano, una pandemia di peste bubbonica che, sotto il regno dell’imperatore Giustiniano I, dal quale prese il nome, si abbatté sui territori dell’Impero bizantino e in particolar modo su Costantinopoli. Ma fu la grande peste nera del 1300 la peggiore per la popolazione europea, che ne uscì decimata. L’epidemia fu probabilmente importata dal Nord della Cina. Nei secoli successivi si sono succedute periodiche epidemie di colera e il vaiolo, ribattezzata la “malattia democratica” perché uccideva tanto i poveri quanto i sovrani, come Luigi XV di Francia.


Il flagello della Spagnola

Nel XX secolo, l’enorme crescita della popolazione mondiale e lo sviluppo dei mezzi di trasporto moderni, insieme a tanti benefici, hanno permesso anche ai virus di viaggiare rapidamente da una parte all’altra del pianeta, arrivando incolumi dall’estremo Est sul suolo europeo o americano. La madre di tutte le pandemie, ancora più grave perché sviluppatasi in concomitanza con la Prima guerra mondiale, risale infatti al Novecento ed è l’influenza Spagnola, chiamata così perché le prime notizie su di essa furono riportate dai giornali della Spagna che, non essendo coinvolta nel conflitto mondiale, non era soggetta alla censura di guerra. Il virus contagiò mezzo miliardo di persone uccidendone almeno 25 milioni, anche se alcune stime parlano di 50-100 milioni di morti. Si calcola che morì dal 3 al 6% della popolazione mondiale. Identificata per la prima volta in Kansas nel 1918, la Spagnola era causata da un ceppo virale H1N1.


I virus del secondo Dopoguerra

Nel 1957 tornò la paura del contagio con la cosiddetta influenza Asiatica, un virus A H2N2 isolato per la prima volta in Cina. In questo caso, venne messo a punto in tempi record un vaccino che permise di frenare e poi di spegnere del tutto la pandemia, dichiarata conclusa nel 1960. Nel frattempo, però, erano morte due milioni di persone. Sempre dall’Asia, caratterizzata da aree densamente popolate, un’igiene non sempre appropriata e - almeno fino alla fine del secolo scorso - uno scarso livello di strutture sanitarie, nel 1968 arrivò l’influenza di Hong Kong, un tipo di influenza aviaria, abbastanza simile all’Asiatica, che in due anni uccise dalle 750mila ai 2 milioni di persone, di cui 34mila solo negli Stati Uniti.


Sars e “suina”

Nel nuovo millennio il primo allarme mondiale è scattato nel 2003 per la Sars, acronimo di “Sindrome acuta respiratoria grave”, una forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong in Cina. In un anno la Sars uccise 800 persone, tra cui il medico italiano Carlo Urbani, il primo a identificare il virus che lo ha poi stroncato. Risale invece al 2009 l’impropriamente detta “influenza suina”, causato da un virus A H1N1. Enorme l’allarme anche in Italia, dove furono oltre un milione e mezzo le persone contagiate. La paura rientrò quando fu chiaro che il tasso di mortalità era inferiore anche a quello della normale influenza.



Ora questa nuova epidemia che terrorizza il mondo. Sembra che il coronavirus risparmi i bambini, o li colpisce comunque con sintomi lievi. Fra i 425 pazienti di Wuhan, nessuno ha meno di 15 anni. I malati sono invece spesso in età avanzata: la metà ha oltre sessant’anni. La maggioranza (56 su 100) sono uomini. «I bambini — spiega il New England — sembrano essere meno suscettibili all’infezione o, se contagiati, mostrano sintomi più lievi». Una buona notizia per loro, ma una difficoltà in più per i medici che cercano di fotografare l’epidemia e di contenerla. «È probabile — scrive infatti l’équipe cinese — che questo porti a sottostimare i numeri delle persone realmente colpite».

L’inizio del contagio
Con tutta probabilità è partito ben prima dell’allarme ufficiale, che risale al 31 dicembre 2019. I primi pazienti hanno iniziato a mostrare sintomi il 1° dicembre e il New England sostiene che «la trasmissione da uomo a uomo, sulla base delle evidenze, è iniziata a metà di dicembre». Ogni malato finora ha infettato altre 2,2 persone. Questi numeri, chiedono con urgenza i medici cinesi, «richiedono uno sforzo considerevole per controllare la trasmissione del virus nelle zone a rischio». La Sars arrivava a un tasso di contagiosità più alto, intorno a 3. Ma provocava anche sintomi più gravi e difficilmente un malato sfuggiva al ricovero in ospedale. Il nuovo coronavirus da questo punto di vista è più subdolo. Confondendosi nei casi più lievi con la normale influenza di stagione, fa sì che molte persone contagiose proseguano la loro vita di tutti i giorni.

La rete di sorveglianza
I tempi di reazione di fronte alla nuova epidemia non sono stati abbastanza rapidi da evitare i focolai al di fuori di Wuhan. Ma di certo la lezione della Sars è servita. Allora — era il 2003 — ci vollero 4 mesi solo per rendersi conto dell’emergenza e isolare il virus. A dicembre i medici che in ospedale hanno dovuto gestire i primi pazienti si sono invece ritrovati in mano un questionario dal titolo “polmonite di origine incerta”. Era stato preparato in vista di una nuova epidemia. Andava riempito con i dati dei pazienti e con le interviste ai familiari sui comportamenti adottati nelle ultime settimane: luoghi visitati, persone incontrati, animali con cui si è entrati in contatto. In questo modo è stato possibile risalire al mercato di Wuhan come sorgente iniziale dell’epidemia. Fra le persone contagiate a dicembre, il 55% aveva frequentato i banchi in cui si vendevano tra l’altro animali selvatici vivi.

Il sistema sanitario cinese, specialmente nella regione di Wuhan, sta scricchiolando sotto al peso di migliaia di nuovi malati ogni giorno. Uno dei segnali di stress, sottolinea il New England, è la quota elevata di infermieri e medici che sono stati contagiati. Un altro problema grave è il tempo che i pazienti impiegano a trovare un posto letto. “L’89% dei pazienti — è uno dei dati più preoccupanti dello studio — non viene ricoverato prima che siano passati 5 giorni dall’inizio della malattia”. Questo lasso di tempo va aggiunto a un periodo di incubazione che è mediamente di 5,2 giorni, ma che in alcuni casi è arrivato a 12. Un bell’aiuto per un virus che non chiede di meglio che circolare il più possibile a piede libero.