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venerdì 1 dicembre 2023

La violenza...

In questi giorni mi è inevitabile pensare al mio passato e a quello che ho permesso mi facessero.

Perchè una cosa l'ho capita. Vittima di diventa e si accettano volontariamente le violenze.

La libertà arriva quando riesci a difenderti e chiudere, ma non è così facile, quando ti distruggono psicologicamente e ti senti niente devi essere solo fortunata ad incontrare le persone giuste, quelle che ti salvano.

A dire il vero ho avuto una collezione di uomini sbagliati... e alla fine ci ho messo una pietra sopra.

Quando senti la lama alla gola o le mani che ti stringono il collo non pensi che stai morendo ma cerchi una giustificazione perché lui non può essere così.  È un attimo... una sensazione di incredulità profonda come il mare.

Dall'ex militare che aveva una pistola e al mio no mi ha minacciata di uccidermi e salutare tutta la famiglia perchè mi avrebbe ammazzato.

Dopo è arrivato uno anche peggio, e quindi molto probabilmente la mia indole da crocerossina attira gli psicopatici e sono davvero stanca di scegliere male. Troppe maschere.

Comunque finalmente a 56 anni ho scoperto di amarmi e stare bene da sola.

Credo anzi che sia la condizione ideale e a saperlo prima non avrei sprecato inutilmente anni dietro a uomini che non volevano amarmi.

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Di seguito un posto che ho recuperato nel lontano 2009
Mi sono salvata solo perchè è morto.

 

IL PORTONE

In questo diario in cui scrivo da molto tempo di solito non ho mai messo filtri, ma per correttezza avverto, se il contenuto del post potrebbe essere troppo invasivo. Le nostre parole a volte possono diventare pietre ed entrare come un bulldozer dentro l’anima di chi ci legge e questo non è sempre giusto. E’ vero che qui ci raccontiamo e ci sfoghiamo, ma in fondo non è sempre facile dire o non dire. Mi sento di farlo e di condividere, raccontare ma non per pietà. Quella non la voglio e mai la vorrò. E’ solo un episodio, una piccola fetta della mia vita.
E’ che ho varcato il portone, quel portone, lontano dall’ospedale, in un’area riservata (lontano dagli occhi, immagino), dove ho telefonato per prendere un appuntamento e mi hanno detto che dovevo avvertire alla reception quando arrivavo, che sarebbe sceso qualcuno a prelevarmi ed accompagnarmi. Quando ho detto con chi avevo appuntamento e mi sono seduta ad aspettare ogni tanto lanciavo uno sguardo a loro, quelli della reception. Mi guardavano senza farsi vedere o essere invadenti, ma sapevo che stavano cercando un segno, qualcosa che mi avrebbe contraddistinta. Magari un livido, oppure occhiali scuri. O forse solo la mia vergogna e la testa bassa, di chi deve nascondere qualcosa. Certo mai avrei immaginato di varcare un giorno la porta di un centro antiviolenza. Però era necessario e la consapevolezza di voler essere aiutata e ammettere di avere un problema importante mi ha fatto trovare il coraggio. Sapevo che sarebbe stato difficile raccontare e spiegare, soprattutto reggere il loro sguardo e sapere che anche se professionisti, dall’altro parte sono abituati a vedere chissà cosa. Anche loro a cercare ferite e io quasi ad essere dispiaciuta di non averne una da mostrare, anche se dentro di me ci sono cicatrici così profonde che mai si rimargineranno veramente e sanguinano e fanno male. Violenza psicologica. Difficile spiegare le umiliazioni, le piccole azioni che ti distruggono piano piano e minano la tua persona tanto da dubitare di te stessa. Le chiama prove di amore e di fedeltà. E invece sono angherie e ricatti e azioni che ti spingono a fare cose che non vorresti fare ma quando sei dentro la tela del ragno, ti divora e basta. Prigioniera. Sei solo una prigioniera. In fondo non chiedo molto. Solo parlare e trovare qualcuna che abbia subito le mie stesse vicende. Eppure mentre parlo e leggo i movimenti dall’altra parte, penso che ho fatto male a venire, tanto nessuno può capire veramente. Passi solo per una cogliona, una che è stata vittima consenziente del mostro di turno. Brava, hai vinto un biglietto per ingenuolandia, cazzi tuoi. E adesso che vuoi da noi. Hai fatto male a farti usare e fottere e umiliare, dovevi avere più rispetto di te stessa. Ma certo daiii!!! Se avessi saputo difendermi non sarei entrata qui cazzo. Stò imparando a difendermi prendendo coscienza che dovevo farlo da tempo e che ci ricasco a cicli e che adesso si è passati anche alle violenze fisiche. Bè allora è un’altra cosa. Ah davvero!!! Ma se dentro sono tutta rotta, massacrata dai ricatti e dall’autostima che scende e ogni volta mi uccide lentamente… è sempre peggio, perché ogni volta chiede di più e ti umilia di più. E’ una persona malata che non ha coscienza del male che fa e non ha senso morale. Semplicemente non prova sentimenti di nessun genere e non sente la responsabilità di quello che fa o che costringe a fare. Per lui sei solo una cosa. E’ molto pericoloso. Ma và!!! Devi fuggire … lontano. E se non potessi fuggire!!. Lo devo affrontare e combattere. Potete insegnarmi a farlo? Ma sai, qui ci sono avvocati, se vuoi parlare con loro e denunciare. No, non voglio denunciare. Non mi crederebbe nessuno e sarebbe solo una battaglia persa. Le prove, dove sono le prove. Pessima idea venire qui. Lo sapevo che dovevo difendermi. Ok come non detto, ho sbagliato portone.  
Intanto ho deciso che non voglio più essere una vittima… poi si vedrà.
Non sono io quella sbagliata anche se ci ho sempre messo il cuore e poco la testa. Almeno sono fortunata, io so amare e so cosa significa dare amore. Non posso dire la stessa cosa degli egoisti patologici, che felici non lo saranno mai, perché sanno solo prendere e nella loro inquietitudine non si sentiranno mai appagati davvero. Sono anime perse nel buio. Narcisisti, appunto. Ho sempre pensato che Narciso fosse solo un giovane bello che si rimirava in un lago e mai ho preso coscienza in questi anni che fosse una pericolosa patologia, che spinge chi ne è affetto, a seguire il proprio piano senza considerare minimamente che dall’altra parte c’è una persona. Vede solo se stesso e quello che vuole lui. Troppe volte ha fatto finta di non vedere le mie lacrime e le mie sofferenze. Troppe volte mi ha umiliato oltre ogni limite, ma l'ultima violenza è stata la più orribile. Non volevo crederci, lo guardavo negli occhi e non potevo credere che lo facesse proprio a me. Ancora e ancora. Ho avuto la forza di fermarlo e dire basta. Le sue perversioni sessuali sono diventate le mie, ma adesso non voglio più cedere o far finta che sia amore. Non lo è. E' solo violenza, è solo costringere qualcuno che ti ama a fare qualcosa che non vuole e che lo ferisce oltre ogni limite. Ricatti ancora. Adesso basta, non voglio più essere un giocattolo nelle sue mani. Ho sempre pensato che queste cose accadessero nei film o al massimo agli altri. E invece mi sono trovata coinvolta mio malgrado. Non posso cambiare il passato e quello che è successo ma posso cercare di andare avanti e riprendere in mano la mia vita.
Elisa



Trovato su Wikipedia: “Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo della personalità il cui sintomo principale è un deficit nella capacità di provare empatia verso altri individui. Questa patologia è caratterizzata da una particolare percezione di sé del soggetto definita “Sé grandioso”. Comporta un sentimento esagerato della propria importanza e idealizzazione del proprio sé - ovvero una forma di amore di sé che, dal punto di vista clinico, in realtà è fasulla - e difficoltà di coinvolgimento affettivo. La persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole…” .... a trovarlo prima!!!

Sempre cercando su internet ho trovato questo, che racchiude praticamente tutta la sua persona e quello che mi ha fatto: “La diagnosi secondo il criterio DSM IV richiede che almeno cinque dei seguenti sintomi siano presenti nella persona:1. Senso grandioso del sé ovvero senso esagerato della propria importanza2. È occupato/a da fantasie di successo illimitato, di potere, effetto sugli altri, bellezza, o di amore ideale

3. Crede di essere "speciale" e unico/a, e di poter essere capito/a solo da persone speciali; o è eccessivamente preoccupato da ricercare vicinanza/essere associato a persone di status (in qualche ambito) molto alto4. Desidera o richiede un’ammirazione eccessiva rispetto al normale o al suo reale valore

5. Ha un forte sentimento di propri diritti e facoltà, è irrealisticamente convinto che altri individui/situazioni debbano soddisfare le sue aspettative

6. Approfitta degli altri per raggiungere i propri scopi, e non ne prova rimorso.

 7. È carente di empatia: non si accorge (non riconosce) o non dà importanza a sentimenti altrui, non desidera identificarsi con i loro desideri

8. Prova spesso invidia ed è generalmente convinto che altri provino invidia per lui/lei

9. Ha una modalità affettiva di tipo predatorio.” Identikit di un mostro sociale…Praticamente una persona pericolosissima da cui scappare a gambe levate… e io che ho insistito 10 anni non sapendo e riconoscendo che era malato e non solo stronzo!!!!!

giovedì 23 novembre 2023

Donne e ragazze da difendere...

 

Elena Cecchettin, sorella di Giulia, uccisa a coltellate dall’ex ragazzo, ha trasformato un dolore privato in una questione politica. Il governo promette interventi per contrastare la violenza di genere, ma intanto ha tagliato i fondi

È stata Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, a sorprendere tutti. Al termine di una fiaccolata, la ragazza di 24 anni, studente universitaria, ha preso la parola e ha fatto una cosa molto complicata: ha trasformato un dolore privato in una questione politica. Si è smarcata dal ruolo della vittima e ha assunto su di sé la responsabilità di un futuro cambiamento.

“Filippo non è un mostro, un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece qui la responsabilità c’è”, ha detto con consapevolezza, lasciando tutti senza fiato.

La morte di Giulia Cecchettin, uccisa da una ventina di coltellate dal suo ex ragazzo, Filippo Turetta, è stato l’ennesimo femminicidio dall’inizio dell’anno, ma ha aperto finalmente una breccia di dolore e commozione nell’opinione pubblica. Uno dei motivi, forse il più importante, è stata la voce di Elena Cecchettin, che ha raccontato la violenza e mostrato quello che bisognerebbe sapere: i femminicidi sono la punta dell’iceberg di violenze e sopraffazioni che colpiscono milioni di donne di qualsiasi classe sociale e ovunque nel mondo, che ognuna conosce e teme da quando è nata. 

 

I femminicidi non sono raptus, non succedono all’improvviso, come spiegano da anni le esperte e gli esperti. Sono preceduti da un crescendo di abusi fisici e psicologici, tentativi di manipolazione, ricatti, stalking, gaslighting, comportamenti ossessivi e controllanti che possono andare avanti per mesi o anni, e che sono perlopiù tollerati dalla società.

Come dice Elena Cecchettin, la violenza serve a ristabilire la gerarchia, che qualche donna ha pensato di mettere in discussione, è l’espressione di un sistema di potere millenario in crisi, ma che è ancora ben radicato nei comportamenti quotidiani.

Spesso, infine, le donne e le ragazze che chiedono aiuto non sono credute, i segnali di allarme che lanciano sono trascurati, fino agli esiti più drammatici. “Filippo le chiese di fermarsi con gli esami, è stato il primo campanello d’allarme”, racconta Elena Cecchettin.

Giulia Cecchettin è stata uccisa a pochi giorni dalla discussione della sua laurea in ingegneria biomedica all’università di Padova, un traguardo che era riuscita a raggiungere nonostante i molti problemi familiari causati dalla malattia della madre, morta sei mesi fa. Un obiettivo, quello della laurea, che aveva mandato in crisi Turetta, suo compagno di studi, secondo quanto riferito dai familiari della ragazza. Turetta non voleva che Cecchettin si laureasse prima di lui.

La scrittrice e femminista Lea Melandri nel suo Amore e violenza, il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri 2011) sottolinea: “Ci sono parentele insospettabili che molti non riconoscono o che preferiscono ignorare. La più antica e la più duratura è quella che lega l’amore all’odio, la tenerezza alla rabbia, la vita alla morte”.

Si distrugge per conservare, si uccide per quello che uomini e donne sono stati educati a chiamare “amore”, ma che amore non è. “Anziché limitarsi a invocare pene più severe per gli aggressori, forse sarebbe più sensato gettare uno sguardo in quelle zone della vita personale che hanno a che fare con gli affetti più intimi, con tutto ciò che ci è più familiare, ma non per questo più conosciuto. A uccidere, violentare, sottomettere, sono prevalentemente mariti, figli, padri, amanti incapaci di tollerare pareti domestiche troppo o troppo poco protettive, abbracci assillanti o abbandoni che lasciano scoperte fragilità maschili insospettate”, scrive Melandri.

Ma proprio mentre le donne sembrano avere raggiunto livelli inediti e consolidati di autonomia e di partecipazione nello spazio pubblico, si moltiplicano gli omicidi e le violenze contro di loro. Anche chi ha raggiunto livelli più alti di istruzione e finalmente hanno avuto accesso a un’educazione paritaria sembra ancora esposta alla ferocia delle violenza maschile, che vorrebbe riportare tutte indietro a secoli di subalternità e dipendenza.

La storica Vanessa Roghi ricorda che nel saggio Una stanza tutta per sé la scrittrice Virginia Woolf riflette sulla rabbia degli uomini quando scrivono di donne e “arriva alla conclusione che quello che fa una donna che studia, scrive, o semplicemente esprime uno sguardo diverso e autonomo è di togliere all’uomo che le sta accanto lo specchio in cui riflettersi”.

È per questo che spesso proprio le donne più autonome possono essere vittime di violenze efferate: sono i loro “no” a innescare la rabbia, rompendo un patto di sottomissione durato millenni. “Perciò è così importante, per un patriarca il quale deve conquistare, il quale deve governare, la possibilità di sentire che moltissime persone, la metà degli umani, sono per natura inferiori a lui. Anzi deve essere questa una delle fonti principali del suo potere”, scrive Woolf in quello che è considerato un classico del femminismo.

Anche nell’epoca in cui il femminismo è diffuso e molteplice, addirittura mainstream, la violenza non si ferma e tutte le battaglie sembrano per un attimo essere state inutili, davanti a una ragazza di 22 anni uccisa a coltellate. Ma in questo momento di spaesamento appare più nitido il fatto che il cambiamento dev’essere radicale, non ci può essere nessuna gradualità. Non si tratta di emendare o riformare qualcosa, ma di cambiare tutto.

“Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”, ha concluso Elena Cecchettin, citando una poesia diventata virale dell’attivista peruviana Cristina Torres Cáceres. Ma la ragazza è stata sommersa di insulti. 

 

Riporto queste parole e questo articolo perchè racchiude tutto quello che penso  su questa vicenda.
Quando Giulia ha chiesto consiglo alle amiche nessuna ha pensato di dirle vai in un centro antiviolenza e fatti consigliare. Manca la cultura del pericolo. Perchè noi donne tendiamo sempre ad accogliere, giustificare, capire e perdonare.


martedì 14 novembre 2023

Donne che comprano fiori di Vanessa Montfort

 

Nel cuore del barrio de las Letras, il quartiere più bohémien di Madrid, tra stradine pedonali  e piazzette ombreggiate, proprio dove si narra  che abbiano vissuto Cervantes e Lope de Vega,  esiste una piccola oasi verde ricca di fascino  e profumi: il Giardino dell’Angelo, il regno fiorito  di Olivia.
N el suo negozio, all’ombra di un olivo centenario,  si incrociano le vite di cinque donne che comprano fiori. Tutte all’inizio lo fanno per gli altri, mai per sé: Victoria li compra per il suo amante segreto, Casandra per ostentarli in ufficio, Aurora per dipingerli, Gala per donarli alle clienti del suo showroom e l’ultima, Marina, per una persona  che non c’è più…

Dopo la perdita del marito, Marina si sente completamente smarrita e per caso incontra Olivia, accettando di lavorare  nel suo negozio di fiori. Lì conoscerà le altre quattro donne, molto diverse tra loro, ma che, come lei, stanno attraversando un momento cruciale della propria esistenza per motivi lavorativi, sentimentali, familiari o di realizzazione personale.
Un romanzo intenso e pieno di passione...

Ci sono donne che comprano fiori, e altre che non li comprano. Questo è quanto.

Un negozio di fiori nel centro di Madrid.
Cinque donne con tanta voglia di riscatto.

Devo dire che è stata una bella lettura ma posso dire una cosa sembra sembrare un’orsa o una matta, io non le capisco più le donne che si struggono per gli uomini o non sanno vivere senza di loro.

Io ho superato questa fase con molta sofferenza e adesso mi sento finalmente libera e felice. Niente uomini da accudire come amante, fidanzata, mamma, amica o altro. Parassiti che ti prosciugano pretendendo la mia attenzione, senza dare niente in cambio. Sono stata sfortunata forse, ma che bello vivere senza uomini, si stà benissimo e soprattutto non si litiga mai...

Non devo giustificare pensieri e azioni e non devo fare cose controvoglia per pace familiare.

Io non credo che stare in coppia sia la condizione migliore di vita, ma esattamente il contrario.

Amare qualcuno significa soffrire troppo. Amare se stessi significa evitare che ti facciano del male.


Elisa

lunedì 30 ottobre 2023

La strabiliante storia dei donuts americani, nati nelle trincee per alzare il morale delle truppe

 Premetto che non mi piacciono, niente a che vedere con le nostre ciambelle allo zucchero, ma ho trovato la storia molto interessante e la riporto.

Un fritto da trincea

Una storia affascinante, raccontata da Gastropod, il podcast del sito gastronomico Eater, che ci riporta alle due guerre mondiali del Novecento. In particolare alla Prima, nel corso della quale molte donne del Salvation Army vennero mandate al fronte in Francia per aiutare i militari a stelle e strisce. I loro compiti erano confortare i feriti, guidare i sani nella preghiera, tenere alto il morale della truppa. Impresa non facile viste le condizioni disperate della prima linea francese: bombardamenti, puzza di morte e sporcizia, trincee infinite che le costanti piogge trasformavano in paludi. Ci sono state depressioni assai meno giustificate. Le donne dell’Esercito della Salvezza decisero che la cucina poteva essere un modo facile per far tornare il sorriso sui volti di quei giovani smagriti e infelici.

L’elmetto come padella

Cucinare, ok. Ma cosa? Gli ingredienti erano scarse e le attrezzature a dir poco spartane. Le torte richiedevano forni efficienti che al fronte naturalmente scarseggiavano. Così la volontaria Helen Purviance ebbe un’idea: quella di utilizzare un elmetto da soldato come padella improvvisata nella quale friggere nello strutto bollente un semplice impasto di farina, zucchero, sale, uova, latte e lievito, ingredienti comunque reperibili. La ciambella fu scelta come format per la sua semplicità. Quella foggia poteva essere facilmente ottenuta stendendo l’impasto con una bottiglia di succo d’uva, tagliandolo con un barattolo di lievito e procurando il buco con un imbuto usato come formina. Poi una spolverata di zucchero a velo e tàac.


Un dolce che parlava di casa

I soldati americani si innamorarono rapidamente di quel dolce che molti non avevano mai mangiato. La ciambella fritta era stata fino ad allora un dolce diffuso soltanto a New York, nel New England e in sporadici posti del Midwest, dove era stata portata da immigrati greci, marocchini, indiani. Le ciambelle Sallies, come presero a essere chiamate dal soprannome dato dai soldati alle angeliche assistenti, divennero il comfort food per eccellenza, un modo per masticare il senso di famiglia. “ogni ragazzotto sentiva che sua madre era da qualche parte appena dietro le linee – disse il colonnello dell’Esercito della Salvezza William Barker al Boston Daily Globe – nella nebbia e nell’umidità della notte, a friggere ciambella per lui”.

Il comando militare americano capì che la fornitura degli ingredienti necessari alla preparazione dei doughnut era un asset fondamentale per la riuscita bellica. E un corrispondente del New York Times arrivò a scrivere che “quando le memorie di questa guerra verranno scritte, anche le ciambelle e le torte di mele dell’Esercito della Salvezza avranno il loro posto nella storia”. Anche alcune canzoni popolari dell’epoca, come “My Donut Girl”, raccontarono questa forma di supporto zuccheroso che in fondo aiutò gli americani – e i suoi alleati europei – a vincere la guerra.

Quando i soldati americani tornarono in Patria recarono il ricordo di quelle delizie fritte e le aziende presero a commercializzare miscele per realizzare in casa le ciambelle del fronte. Anche se il vero boom dei donuts ci fu dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui lo schema si ripeté, con il vantaggio di poterne produrre di più e più velocemente grazie a uno strumento che nel frattempo era stato inventato per “industrializzare” le ciambelle dell’amore.


La storia è anche questo. Piccole cose che sembrano niente e invece sono tutto.
Peccato che nei libri di storia ci sono solo date, nomi e numeri.

NOn si finisce mai di sapere...

venerdì 13 ottobre 2023

La libreria dei gatti neri

 

«Un pensionato malinconico, un frate fin troppo vivace, un’ottantenne fissata con i serial
killer, una ragazzina che si veste dark e sogna di uccidere qualcuno e un libraio sull’orlo del fallimento. È davvero questa la combriccola di investigatori a cui vuoi affidare la tua indagine?»

Grande appassionato di gialli, Marzio Montecristo ha aperto da qualche anno nel centro di Cagliari una piccola libreria specializzata in romanzi polizieschi. Il nome della libreria, “Les Chats Noirs”, è un omaggio ai due gatti neri che un giorno si sono presentati in negozio e non se ne sono più andati.

I poliziotti brancolano nel buio. Omicidi efferati che sembrano non avere nessun collegamento tra di loro...

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In effetti i gatti neri nella trama c’entrano poco. Ma è un giallo-triller molto bello ed è la prima volta che entro in simpatia con l’assassino, in fondo è una vittima.

E qui scatta lo stato psicologico che ti trascina dentro e che ti fa pensare e riflettere.

La linea che divide vittime e assassini a volte è molto sottile ed è difficile capire davvero chi ha ucciso chi… Bellissimo libro.

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Non sono proprio una lettrice di gialli ma questo libro è stato davvero una rivelazione.

martedì 26 settembre 2023

Kristin Harmel – “Il libro dei nomi perduti”

Florida, 2005. Eva Traube Abrams, bibliotecaria quasi in pensione, leggendo il giornale una mattina si imbatte nella fotografia di un libro per lei molto speciale. Il volume, risalente al Diciottesimo secolo, fa parte dei numerosi testi saccheggiati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale; recentemente ritrovato in Germania, sembra contenere una sorta di codice che i ricercatori non sanno decifrare.

Parigi, 1942 . Eva è costretta ad abbandonare la città dopo l'arresto del padre, ebreo polacco. Rifugiatasi in una cittadina di confine, inizia a falsificare documenti per i bambini ebrei che fuggono nella Svizzera neutrale. Eva decide di annotare in un libro in forma criptata i veri nomi dei ragazzini che, essendo troppo piccoli per ricordare, rischiano di dimenticare la propria identità. Così nasce il Libro dei nomi perduti.
Alla fine del conflitto, Eva, decide di ricostruirsi un'altra vita, lontana e diversa. Ha imparato a voltarsi indietro tante volte e ogni volta un pezzo di sé è andato smarrito.

Ma ora che il passato bussa prepotente alla porta, avrà il coraggio di rivivere i vecchi ricordi?


Un bellissimo romanzo che mi ha lasciato con il fiato sospeso per una intera notte, attaccata alla storia senza riuscire a staccarmi. Forse prediligo questi libri con passaggi storici passato/presente, ma mi ha incantato veramente. Essendo una storia vera, è una testimonianza sulla resilienza dello spirito umano. Inoltre ancora nessuno aveva affrontato l’argomento dei falsari, coloro che permisero a centinaia di persone di salvarsi con un nuovo documento, bambini a cui fu data una nuova identità e famiglia, tessere annonarie e documenti vari che permettevano di passare i controlli del nemico.

Questo libro è scritto molto bene e la storia è così intrigante da desiderare di leggere subito la trama e la fine.

 

 

Mi piace quando leggo un libro approfondire alcuni argomenti come di seguito riporto:


Tessera annonaria

La tessera annonaria è un documento personale che definisce la quantità di merci e di generi alimentari razionati acquistabili in un determinato lasso di tempo.

In Italia venne reintrodotta con decreto ministeriale durante la Seconda Guerra Mondiale, a partire dal 1940. La tessera, subito ribattezzata dal popolo come "tessera della fame", veniva rilasciata dal comune ed era nominativa e bimestrale; su di essa vi erano dei bollini rappresentanti il totale consumo mensile di pasta, olio e zucchero, escluso il pane e il latte. Il pane era distribuito giornalmente, non più di 500 gr all'inizio della guerra, per poi arrivare a circa 100 gr. Il latte invece veniva distribuito solo per bambini con prescrizione medica.

La tessera era il pagamento delle risorse alimentari del paese, che lo stato aveva confiscato, distribuendole in piccole porzioni. Stampata su carta di colori diversi per distinguere le differenti fasce d'età, la carta annonaria era verde per i bambini fino agli otto anni, azzurra per i ragazzi dai nove ai diciotto, grigia per gli adulti. Su ognuna comparivano le generalità del possessore, scritte con inchiostro nero indelebile.

Questa tessera permetteva in date prestabilite di recarsi da un fornitore abituale per la prenotazione, dapprima solo di generi alimentari, in seguito anche di altri beni come, ad esempio, il vestiario. Il negoziante staccava la cedola di prenotazione apponendo la propria firma e, in una o due date prestabilite, si poteva prelevare la merce prenotata. Visto che i prezzi variavano di mese in mese era uso comune prelevare tutto quanto fosse possibile in un'unica soluzione. Le date di prenotazione e ritiro dei generi alimentari venivano annunciate tramite manifesti e trafiletti sui giornali che si susseguivano a ritmi paradossali.

Man mano che la guerra proseguiva, si verificarono irregolarità e illegalità di ogni genere, tra cui il commercio stesso delle tessere, false o vere che fossero.

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venerdì 22 settembre 2023

Tre ciotole

Questo libro non l'ho capito.

 

Tre ciotole di Michela Murgia. 

Dopo la sua morte, le sue interviste e tutto quello che è passato sui social su di lei, come donna e come scrittice, mi sono avvicinata a questo libro un po' in punta di piedi. Nemmeno sapevo che erano 12 storie.

Faticosa la lettura per l'impostazione grafica, pochi spazi e pochi paragrafi. Scritto fitto fitto... come senza fiato. In tutta onestà non credo che mi sia piaciuto granchè. Si leggono le storie ma ognuna è a se tranne le prime due che comunque mi hanno infastidita molto per il tipo di approccio, non tanto per il cancro ma proprio per la reazione esagerata ad una separazione.

Ho sentito come se l'autrice avesse una urgenza di condivisione.  Le tre ciotole del titolo sono quelle che usa la protagonista di una delle storie, per tornare a nutrirsi... Di fronte al cambiamento ci si da la possibilità di trovare nutrimento in nuovi riti, risorse di sopravvivenza che non pensavamo di possedere. 

Forse non lo avrei nemmeno letto se non lo avesse scritto lei. 

Di certo mi ha lasciato sensazioni strane.

 

lunedì 11 settembre 2023

Ilaria Tuti – “Madre d’ossa”

 

Nel nuovo romanzo di Ilaria Tuti, “Madre d’ossa”, il presente della profiler Teresa Battaglia è governato dall’Alzheimer che progredisce. La nuova indagine del commissario porta alla luce un’eredità di sangue e credenze, culti, leggende e riti pagani. Se le grotte sono ventri, è il sentimento atavico della maternità che aleggia nella trama, fatta di donne gravide di futuro e di paura, di madri bambine…

Questo è il IV libro della saga del Commissario Battaglia.

Sono gialli e trame molto particolari. Intanto l’ambientazione è italiana (Udine) e ci si affeziona ai protagonisti dopo 4 libri a cui di sicuro ci sarà un seguito.

Ho fatto le due di notte per finire questo libro che mi trascinavo ormai da giorni. Ma a metà libro la trama mi ha letteralmente legato alla soluzione dei misteri.

Aspetto la trasposizione cinematografica che è stata fatta molto bene sul primo libro. Elena Sofia Ricci azzeccatissima nella parte della protagonista.

Elisa