Millie
ha 7 anni, dei bellissimi stivaletti rossi per la pioggia e un
quaderno delle Cose Morte... Un giorno la sua mamma la porta al
Centro Commerciale e le dice di restare ferma vicino ai mutandoni per
grosse signore ad aspettarla, ma la mamma di Millie non tornerà!
Millie fa amicizia prima con
l'anziano Karl,
poi della strana Agatha e con loro inizierà un viaggio verso
Melbourne alla ricerca della sua mamma…
Quando
ho letto questa
trama e attratta dalla copertina, pensavo di aver comprato un libro
piacevole. Niente di così lontano dalla
verità. Scritto
male e malgrado un contenuto che poteva valere e trasmettere di più,
il libro non scorre. Scrivere a capitoli in cui parla una sola
persona mi infastidisce e non mi piace.
Alla
fine del libro ho letto le note dell’autrice e i premi che ha
preso, sono rimasta basita.
Questa
signora non sa scrivere e quindi o mi sono impazzita io o è sceso e
di molto il livello editoriale dei libri.
Delusa
e anche dispiaciuta di averci perso varie serate.
Ora mi chiedo... del mio ultimo acquisto in libreria, posso forse salvare un libro, anche se ne devo leggere ancora due... Quindi o io ho ormai degli stardard molto alti, oppure è cambiato qualcosa nel frattempo e forse devo cambiare il criterio di scelta dei libri.
Seconda recensione: La lettera perduta
Attratta e incuriosita dalla trama avvincente del ibro, mi trovo
invece imbrigliata in un libro stile Danielle Steele… favolette a
lieto fine e con troppe coincidenze per essere vere.
Peccato,
perché in fondo si racconta un pezzo di storia, si raccontano fatti
e nomi e situazioni che ancora si ignorano della seconda guerra
mondiale….eppure il tutto poi si perde con la sensazione amara che
non ci sia più tanto rispetto per il lettore.
SINOSSI Austria,
1938. Kristoff, giovane orfano viennese, diventa apprendista presso
Frederick Faber, mastro incisore specializzato nella realizzazione di
francobolli. Quando il suo mentore, ebreo, scompare durante le
devastazioni della terribile Notte dei Cristalli, Kristoff è
costretto a mandare avanti la bottega al servizio dei nazisti. Ma la
figlia di Faber, Elena, scampata alla cattura e collaboratrice della
Resistenza, lo convince a unirsi alla causa, falsificando documenti e
inviando messaggi in codice. Per lei, di cui è perdutamente
innamorato, Kristoff farebbe qualunque cosa, a costo della sua stessa
vita. Los Angeles, 1989. Da bambina, Katie amava accompagnare al
mercato delle pulci suo padre, che era sempre alla ricerca di
francobolli rari. Ora che l'Alzheimer gli sta togliendo passioni e
ricordi, Katie spera di fargli un regalo gradito facendo stimare
tutta la sua collezione. L'esperto di filatelia cui si rivolge,
Benjamin Grossman, vi scopre una lettera la cui affrancatura,
risalente all'inizio del secolo, sembra nascondere un messaggio
segreto. Con l'aiuto di Benjamin, Katie decide di svelarne il
mistero. Non sa ancora che la ricerca li condurrà a ritroso nel
tempo, alla scoperta di una giovane coppia che si era giurata amore
eterno, e poi nel presente esaltante di una Berlino che sta cambiando
il mondo con la caduta del Muro. Non sa ancora che spetterà a lei,
ora, rendere giustizia a quell'amore e a quella promessa. Ispirato a
testimonianze reali della Resistenza.
Ecco leggendo queste parole e questo articolo non posso non fare un
paragone con il nostro presente.
Partendo dal linciaggio di New Orleans, Brent
Staples racconta sul New York Times come i nostri concittadini
passarono da essere considerati «inferiori» e «criminali» ad
essere legalmente «bianchi», con tutti i diritti che ne derivavano
Nel 1790, durante la presidenza di
George Washington, si svolse il primo censimento degli Usa,
all’interno del quale si era divisi in tre categorie: «Free White
Females and Males», «All Other Free Persons» e «Slaves»
(schiavi), all’epoca soprattutto africani. L’idea del Congresso
era quella di dare vita a un’America bianca, protestante e
culturalmente omogenea (come ricorda l’acronimo «Wasp» usato per
«White Anglo-Saxon Protestants»), immaginando che solamente «i
bianchi liberi, emigrati negli Stati Uniti» potessero diventare
cittadini naturalizzati. L’ondata di immigrati che stava arrivando
da tutta Europa aveva generato il panico.
Bisognava porre un argine. Gli italiani meridionali — in
particolare i siciliani, di pelle più scura — erano ritenuti un
popolo “incivile” e di razza inferiore, troppo africani per far
parte dell’Europa» (L’editorialista del Corriere ricorda come
agli italiani emigrati negli States venisse, ad esempio, rinfacciato
di aver esportato la mafia, ndr). Gli venne quindi impedito
ad esempio di entrare in alcune scuole o sale cinematografiche; di
essere parte di un’organizzazione sindacale; o ancora, vennero
relegati in banchi separati delle chiese, vicino ai neri.
Arrivati come «bianchi liberi» negli Stati Uniti per cercare
riscatto, presto vennero paragonati ai «neri» (anche perché
accettavano lavori «in nero» nei campi di zucchero della Louisiana,
come manodopera a basso costo sulle banchine di New Orleans o perché
sceglievano di vivere tra gli afroamericani).
Il linciaggio di New Orleans del 14 marzo 1891 quando una folla di
cittadini assalì la prigione locale e uccise 11 immigrati italiani,
in particolare siciliani, diede vita a uno dei periodi di massima
tensione tra gli Usa e Italia e a una crisi diplomatica che portò al
richiamo in Italia dell’ambasciatore Francesco Saverio Fava da
parte dell’allora presidente del Consiglio Antonio Starabba. La
stampa italiana chiese con forza di fare giustizia sull’accaduto e
di garantire alle famiglie delle vittime un adeguato risarcimento: i
colpevoli non vennero mai puniti, ma l’allora presidente Benjamin
Harrison decise di risarcire le famiglie con un’indennità. Grazie
a quella storia, gli italiani sarebbero diventati «bianchi» di
diritto, e meritevoli di rispetto.
La carneficina a New Orleans fu messa in moto nell’autunno del
1890 quando il capo della polizia David Hennessy fu assassinato
mentre stava tornando a casa. Il suo assassinio, portò a un processo
clamoroso a seguito del quale alcuni cittadini si radunarono fuori
dalla prigione, riuscendo ad entrarvi, e linciando brutalmente 11 dei
19 uomini che erano stati incriminati. Tale episodio di violenza
sarebbe passato alla storia come «linciaggio di New Orleans». «Il
Times, giustifico’ la brutalità di quanto successo,
descrivendo le vittime come «siciliani furtivi e codardi,
discendenti di banditi e assassini, che hanno trasportato in questo
Paese le passioni senza controllo, pratiche spietate ... Sono per noi
un parassita, serpenti a sonagli... I nostri assassini sono uomini di
sentimento e nobiltà rispetto a loro».
Solo qualche mese dopo, il 13 marzo 1891, un secondo processo
stabilì l’innocenza di quasi tutti gli imputati e la sentenza
venne accolta con rabbia dalla popolazione Usa. Per mettere un punto
alla vicenda, Harrison fece appello al Congresso perché operasse per
proteggere i cittadini stranieri — non i neri americani — dalla
violenza della folla. Un tentativo di placare l’indignazione: da
quel momento, di fatto, gli italiani avrebbero goduto di pari
dignità.
Il Congresso nel 1920 limitò l’immigrazione italiana per motivi
razziali, anche se gli italiani erano legalmente bianchi, con tutti i
diritti che ne derivavano».
L’excursus di Staples prosegue ricordando come gli immigrati
italiani furono vittime anche di altre accuse, ad esempio quando
arrivarono in Louisiana dopo la Guerra Civile, per soddisfare il
bisogno di manodopera a basso costo. I nuovi arrivati sceglievano di
vivere insieme nei quartieri italiani, dove parlavano la lingua madre
(o il dialetto), preservavano le tradizioni, fraternizzavano e in
alcuni casi anche si sposavano con gli afro-americani. Una vicinanza
che avrebbe portato alcuni tra i nostri connazionali a considerare i
siciliani come «non completamente bianchi e ad ammettere nei loro
confronti la persecuzione — linciaggio incluso —, normalmente
imposta agli afro-americani».
Gli italiani, infine, conclude l’articolo sul Nyt, erano
accusati di essere «criminali e assassini per natura». Queste
caratterizzazioni raggiunsero un crescendo diffamatorio in un
editoriale del 1882 che apparve sotto il titolo «I
nostri futuri cittadini»: «Non c’è mai stata da quando New
York è stata fondata una classe così bassa e ignorante tra gli
immigrati che si sono riversati qui come gli italiani del sud che
hanno affollato le nostre banchine durante l’anno scorso». E
ancora, «i bambini immigrati italiani sono assolutamente inadatti e
sporchi da collocare nelle scuole elementari pubbliche, a fianco di
quelli americani».
Il mito razzista secondo cui afro-americani e siciliani erano
entrambi criminali innati si ritrova, poi, anche in una storia del
Times del 1887 riferita alla storia del linciaggio di quello
che all’epoca venne soprannominato «Dago Joe» («dago» è un
insulto diretto agli immigrati italiani, spagnoli e portoghesi, usato
ancora oggi, come
si legge sulla Treccani, ndr): «Una mezza razza, figlio di
un padre siciliano e di una madre mulatta, che aveva le peggiori
caratteristiche di entrambe le razze... Astuto, infido e crudele, era
considerato nella comunità in cui viveva un assassino per natura».
Ho visto questo documentario su sky e mi ritengo fortunata di apprendere qualcosa che si ignora, che non è sui libri di storia e che soprattutto cambia la visione della guerra.
Grecia 1943: quei fascisti stile SS
Domenikon come Marzabotto.
Oltre 150 uomini fucilati per rappresaglia. Ora un documentario alza il
velo sulle stragi del nostro esercito. Occultate
di Enrico Arosio
I partigiani avevano fatto
fuoco dalla collinetta, quando il convoglio aveva rallentato in curva, a
un chilometro dal villaggio di Domenikon.
Erano morti nove soldati italiani. Dunque i greci andavano puniti: non i partigiani, i civili. Domenikon andava distrutta.
Per dare a tutti "una salutare lezione", come scrisse poi il generale
Cesare Benelli, che comandava la divisione Pinerolo. "Qui al villaggio,
prima, i soldati italiani venivano per un'ora o due, flirtavano con le
donne, poi se ne andavano. A Elassona avevano fidanzate ufficiali.Erano dei dongiovanni", racconta un contadino davanti alla cinepresa. Prima, sì. Non il 16 febbraio 1943. Quel giorno gli italiani brava gente si trasformarono in bestie.
L'eccidio di Domenikon, la piccola Marzabotto di Tessaglia, è un crimine italiano dimenticato.
In stile nazista, solo un po' meno scientifico. Fu il primo massacro di
civili in Grecia durante l'occupazione, e stabilì un modello. Il primo
pomeriggio gli uomini della Pinerolo circondarono il villaggio,
rastrellarono la popolazione e fecero un primo raduno sulla piazza
centrale. Poi dal cielo arrivarono i caccia col fascio littorio. Scesero
bassi, rombando, scaricando le loro bombe incendiarie. Case, fienili,
stalle bruciarono tra le urla delle donne, i muggiti lugubri delle
vacche. Gli italiani gliel'avevano detto, raccontano i vecchi paesani: "Vi bruceremo tutti". Il maestro, che capiva la nostra lingua, avvertì: "Mamma. Ci ammazzano tutti".
Molti
non avevano mai visto un aereo. Al tramonto, raccontano i figli degli
uccisi, le famiglie di Domenikon furono portate sulla curva dei
partigiani. Dopo esser stati separati dalle donne, tra pianti e calci,
tutti i maschi sopra i 14 anni, fu ordinato, sarebbero stati trasferiti a
Larisa per interrogatori. Menzogna. All'una di notte del 17 gli italiani li fucilarono nel giro di un'ora,
e i contadini dovettero ammassarli in fosse comuni. "Anche mio padre e i
suoi tre fratelli", ricorda un vecchio rintracciato da Stathis
Psomiadis, insegnante e figlio di una vittima che si è dedicato alla
ricostruzione dell'eccidio, indicando la collina di lentischi e mirti.
La notte e l'indomani i soldati della Pinerolo assassinarono per strada e
per i campi pastori e paesani che si erano nascosti: fecero 150morti.
È tutto ricostruito nel documentario 'La guerra sporca di Mussolini',
diretto da Giovanni Donfrancesco e prodotto dalla GA&A Productions
di Roma e dalla televisione greca Ert, che andrà in onda il 14 marzo su History Channel (canale 405 di Sky). La Rai si è disinteressata al progetto.
Il film, che riapre una pagina odiosa dell'Italia fascista, si basa su
ricerche recenti della storica Lidia Santarelli. La docente al Centre
for European and Mediterranean Studies della New York University,
parlando con 'L'espresso' di Domenikon e dei massacri italiani in
Tessaglia, Epiro, Macedonia, li definisce "un buco nero nella
storiografia". Che cosa sa il grande pubblico della
campagna di Grecia di Mussolini? Ricorda il presidente Ciampi, le
commosse rievocazioni della tragedia di Cefalonia, il generale Gandin e
la divisione Acqui, le emozioni cinematografiche di 'Mediterraneo' e del
'Capitano Corelli', con gli italiani abbronzati, generosi, portati a
fraternizzare. Una proposta di legge (Galante e altri) presentata alla
Camera il 24 novembre 2006 per istituire una Giornata della memoria
delle vittime del fascismo accenna all'eccidio di Domenikon; ma è
un'eccezione.
Italiani brava gente? Per nulla."Domenikon",
dichiara la Santarelli nel film, "fu il primo di una serie di episodi
repressivi nella primavera-estate 1943. Il generale Carlo Geloso,
comandante delle forze italiane di occupazione, emanò una circolare
sulla lotta ai ribelli il cui principio cardine era la responsabilità
collettiva. Per annientare il movimento partigiano andavano annientate
le comunità locali". L'ordine si tradusse in rastrellamenti, fucilazioni, incendi, requisizione e distruzionedi riserve alimentari.
A Domenikon seguirono eccidi in Tessaglia e nella Grecia interna: 30
giorni dopo 60 civili fucilati a Tsaritsani. Poi a Domokos, Farsala,
Oxinià.
Le autorità greche segnalarono stupri di massa.
Azioni di cui praticamente non esistono immagini, memorie sepolte negli
archivi militari. Il comando tedesco in Macedonia arrivò a protestare
con gli italiani per il ripetersi delle violenze contro i civili. Nel
film il diario del soldato Guido Zuliani racconta di rastrellamenti e
torture. Il capo della polizia di Elassona, Nikolaos Bavaris, scrisse
una lettera di denuncia ai comandi italiani e alla Croce rossa
internazionale: "Vi vantate di essere il Paese più civile d'Europa, ma
crimini come questi sono commessi solo da barbari". Fu internato,
torturato, deportato in Italia. La figlia: "Un incubo".
Gli italiani imitarono i tedeschi, ma senza la loro tecnica.
Nel campo di concentramento di Larisa, a nord di Volos dove nacque
Giorgio de Chirico, furono fucilati per rappresaglia oltre mille
prigionieri greci. Molti morirono, ricorda 'La guerra sporca di
Mussolini', di fame, denutrizione, epidemie. Le brande con i materassi
di foglie di granturco erano infestate dalle pulci. L'occupazione (sino
al settembre '43 gli italiani amministrarono due terzi della Grecia, un
terzo i tedeschi) si caratterizzò per le prevaricazioni continue ai danni di innocenti.
La Tessaglia era il granaio greco. L'esercito italiano eseguiva
confische, saccheggi, sequestri. Introdotta la valuta di occupazione, il
mercato nero andò alle stelle. La razione di pane si ridusse a 30
grammi al giorno. Il film mostra abitanti di Atene morti di fame gettati
come stracci agli angoli delle strade. "Nel solo inverno 1941", ricorda
la professoressa Santarelli a 'L'espresso', "la carestia indotta dall'amministrazione italiana fece tra i 40 e i 50 mila morti.
Nell'intero periodo morirono di fame e malattie tra i 200 e i 300 mila
greci. Un altro capitolo poco studiato è la prostituzione: migliaia di
donne prese per fame e reclutate in bordelli per soddisfare soldati e
ufficiali italiani". Nel 1946 il ministero greco della Previdenza
sociale, nel censire i danni di guerra, calcolò che 400 villaggi avevano
subito distruzioni parziali o totali: 200 di questi causati da unità
italiane e tedesche, 200 dai soli italiani.
La
Grecia rimossa ci costringe a riflettere. Come dice nel film lo storico
Lutz Klinkhammer, il massimo studioso di atrocità tedesche in Italia: "La leggenda del bravo italiano non è completamente inventata.
Ciò che è inventato è che tale immagine fosse l'aspetto dominante
nell'occupazione di quei territori". I generali Geloso e Benelli altro
non fecero che applicare le linee guida del generale Roatta in
Jugoslavia, che teorizzò la strategia "testa per dente". Klinkhammer
dichiara che le fucilazioni italiane in Slovenia, nella provincia di Lubiana, ebbero le stesse dimensioni delle fucilazioni tedesche in Alta Italia
dopo l'8 settembre. Oltre 100 mila slavi transitarono per i campi di
concentramento italiani in Jugoslavia. Nell'isola di Rab, di cui il film
mostra cadaveri scheletrici, morì il 20 per cento dei prigionieri.
Klinkhammer usa per l'esercito di Mussolini, ricordando i crimini in
Etiopia e Cirenaica con l'impiego di gas contro i civili, il termine
"programma di eliminazione". E se dopo il 1945 Badoglio e Graziani
furono i primi due criminali di guerra elencati dalle autorità etiopi,
per la Grecia e i Balcani furono sollevate analoghe richieste per i
generali Roatta, Ambrosio, Robotti e Gambara.
A Londra la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ricevette una lista con più di 1.500 segnalazioni di criminali di guerra italiani.
Perché tutto andò insabbiato? Ecco un'altra rimozione nazionale. Nel
1946 era cambiato tutto: l'Europa spaccata in due tra Alleati e blocco
sovietico. L'Italia di De Gasperi rientrava nella strategia di
compattamento occidentale contro Stalin. Il nostro governo rifiutò la
consegna dei responsabili di atrocità alla Grecia. Mentre De Gasperi
istituiva una commissione d'inchiesta, chiedeva a Washington di
temporeggiare. Stessa richiesta da Lord Halifax per il governo
britannico, pur vicino alla Grecia, dove infuriava la guerra civile tra
monarchici e comunisti. In breve: l'Italia rinunciò a chiedere
estradizione e processo per i criminali nazisti (ricordate 'l'armadio
della vergogna'), la Grecia fece lo stesso con l'Italia. La Guerra
fredda fu la pietra tombale sulle richieste di giustizia (vedere
intervista a Filippo Focardi qui sopra).
Domenikon oggi è un
paesino circondato dalla macchia, da ginepri, cardi e rosmarini. I
tramonti lo tingono di rosa come nel 1943. I patrioti come Stathis
Psomiadis hanno cercato di sollevare il velo dell'oblio, e questo
documentario è un tributo agli innocenti. La realtà però è amara. Domenikon, riconosciuta città martire nel 1998, non è diventata memoria collettiva,
come da noi Marzabotto. Molti greci non conoscono queste vicende.
Perché già nel 1948, con la rinuncia del governo a chiedere
l'estradizione dei criminali italiani, la questione si chiuse. I
processi non furono mai istruiti. Anni dopo anche il Tribunale di Larisa
archiviò il caso. E di Domenikon resta la memoria di pochi, gente
semplice, poco mediatica, come si dice oggi. E un tramonto rosa
malinconico. Sopra il villaggio, sopra la giustizia e la storia.