APPELLO DI
VITTORIO EMILIANI – PINACOTECA
DI BRERA
Gentile Presidente della Repubblica,
Gentile Presidente del Consiglio,
Gentile Ministro per i Beni culturali,
leggendo con più attenzione il decreto, poi disegno di legge, sullo
sviluppo approvato nei giorni scorsi, abbiamo amaramente constatato che
all’art. 8 del medesimo è stato inserito un provvedimento che con lo sviluppo
ha ben poco a che fare e che invece apre un varco, a nostro avviso decisivo, in
direzione della trasformazione dei grandi musei italiani da pubblici a
Fondazioni di diritto privato, con tutte le implicazioni che ciò comporta. Si
stabilisce infatti la creazione della “Grande Brera” quale Fondazione privata
incaricata di gestire la Pinacoteca Nazionale
di Brera e i suoi beni, mobili e immobili.
Anzitutto notiamo che, nel “concerto” ministeriale predisposto per questo
importante disegno di legge governativo, non figura il ministro competente per
i Beni culturali il cui apporto (e ciò è gravissimo) viene giudicato
palesemente inessenziale.
In secondo luogo l’art. 8 del decreto-legge n.83 del 22.6.12 ora
convertito in legge, conferisce ad una Fondazione di diritto privato l’intera
collezione di Brera, stratificatasi in due secoli, il grande immobile che la
ospita (dal quale l’ex commissario Resca ha provveduto a sloggiare l’Accademia
di Belle Arti antecedente alla Pinacoteca), nonché ulteriori beni mobili e
immobili. E’ pienamente costituzionale un simile trasferimento? Rappresenta davvero
una prosecuzione della tutela garantita dall’art. 9 della Costituzione al
patrimonio storico-artistico? O non apre al contrario, da apripista, una fase
del tutto nuova con l’ingresso di soci privati in un grande museo statale? Dopo
la Grande Brera
privatizzata, sarà più facile avere i Grandi Uffizi privatizzati o la
Galleria Borghese , gli Archeologici di
Napoli e di Taranto.
Fra l’altro nell’ultimo comma dell’art. 8 della legge Passera (Ornaghi
assente) si dice che “la Fondazione
può avvalersi di personale appartenente ai ruoli del Ministero per i beni e le attività
culturali e degli enti territoriali che abbiano acquisito la qualità di soci
promotori”. Può avvalersi: dunque può ancora non avvalersene, può essere
tagliato in ogni momento il cordone ombelicale che lega da sempre questa
Pinacoteca Nazionale al Ministero specificamente incaricato della tutela e al
personale tecnico-scientifico che esso seleziona.
Il fine generale è quello di una “gestione secondo criteri di efficienza
economica”. Il che, se ci consente, rappresenta uno schiaffo ai direttori dei grandi
musei nazionali i quali stanno da mesi compiendo sforzi eroici per tenere
aperte, vive e vitali tali istituzioni dovendo lottare con fondi ridotti al
lumicino (negli ultimi dodici anni il bilancio ministeriale è crollato da 2,5 a 1,5 miliardi. Altro che
“efficienza economica”. Questi valorosi servitori dello Stato e i loro
predecessori hanno creato musei ammirati in tutto il mondo ed ora sono
costretti ad una gestione non “secondo criteri di efficienza economica”, bensì
in condizioni di umiliante sopravvivenza (i loro stipendi variano fra i 1700 e
i 1900 euro netti). Una “economia di guerra” che minaccia lo sviluppo dello stesso
turismo culturale, il solo in crescita, con pericoli continui di chiusure
parziali o totali, con la riduzione o l’annullamento delle attività didattiche,
per giovani e giovanissimi, e di quelle di ricerca ben più importanti
culturalmente di altre attività prettamente “commerciali”.
Perché non si è discusso questa operazione-Grande Brera alla luce del
sole? Perché si è esclusa da essa il Ministero per i Beni e le Attività
culturali? Perché si è infilato un provvedimento di questa portata quasi nelle
pieghe di un decretone per lo sviluppo? Eppure si tratta di una operazione che
apre la strada, chiarissimamente, alla privatizzazione dei maggiori musei
italiani, già tentata nel recente passato, lontana dai grandi modelli italiani
ed europei, e che ora si fa passare nel fragoroso silenzio degli organi di
informazione, della maggioranza degli intellettuali italiani e degli addetti ai
lavori. Spettacolo avvilente rispetto alla reazione riservata anni fa ad una
proposta, forse più ingenua, ma certamente più chiara e lineare, di
privatizzazione avanzata dall’allora ministro Giuliano Urbani. In questo caso
il ministro competente non c’è, non sente, non vede. Ci pensa il collega dello
Sviluppo. Anche l’Arte è più che mai una merce. C’è ancora qualcuno che voglia
discutere in positivo nel nostro Paese senza facili populismi, ma con serietà e
rigore culturale?
Dopo che da vent'anni eleggiamo primi ministri boiardi di stato, supervenditori ed economisti bocconiani, francamente non mi aspetto gran che di diverso.
RispondiEliminaBacio, tuo
Cosimo
il problema è complesso. ma servitori che guadagnano 1700-1900 netti mi pare che non ce li possiamo più permettere. e neppure in passato avremmo potuto. ciao
RispondiEliminala confusione è talmente grande che ho perso la speranza nella classica politica, ma assolutamente non del popolo italiano!
RispondiEliminaPurtroppo esiste ormai solo più un'arte in Italia: quella di spillare soldi alla classe media, schiacciandola sotto il peso delle tasse, del lavoro che manca, della disperazione di chi non sa più come andare avanti.
RispondiEliminaIo non sono sorpresa purtroppo, e temo che nulla migliorerà a breve..
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