Triste anniversario - Ripropongo questo articolo che scrissi mesi fa sul racconto di Rigopiano dei protagonisti che si salvarono.
Bellissimo e terribile.
Rigopiano,18 gennaio 2017
Il
libro "Il peso della neve" (Mondadori, 2018) di Adriana e Giampiero
Parete, sopravvissuti alla tragedia di Rigopiano racconta la storia di
cosa accadde il 18 gennaio all'interno del Gran Sasso Resort di
Rigopiano (Farindola, Pescara) nelle drammatiche 50 ore che seguirono la
valanga, quando 120.000 tonnellate di alberi, rocce, ghiaccio e neve
spazzarono via tutto, uccidendo 29 delle 40 persone presenti.
A
raccontarlo è la famiglia Parete: mamma, papà e due figli, i quattro
protagonisti di quello che i giornali definirono «il miracolo di
Rigopiano».
Sapevo,
quando ho comprato questo libro, a cosa sarei andata incontro, che cosa
avrei provato ad entrare dentro questo dolore, a sentire la sofferenza,
ancor di più perché sono mamma. Ma, sinceramente, non avrei mai
immaginato che sarebbe stato così straziante, così profondo, così
terribilmente doloroso. Però sono contenta di averlo fatto e ho capito
tante cose che prima mi erano sfuggite.
Sono
una volontaria di Protezione Civile e ascoltando le cronache dei Tg,
non riuscivo proprio a credere che i soccorsi fossero arrivati così in
ritardo, le telefonate ignorate e gli appelli di aiuto non raccolti,
perché non erano stati creduti. Che era successo? Che cosa si era
attivato che aveva aggravato la situazione facendola degenerare in
tragedia? Certo, ho pensato, seguendo gli interventi, non siamo come nei
film americani, e non è quasi mai all’apparenza tutto subito “fico” e
super efficiente, ma, anche i nostri sistemi di soccorso negli anni sono
migliorati e quindi non riuscivo a capacitarmi del ritardo dei soccorsi
messi in campo e del loro arrivo intempestivo.
Qualche
mese fa ho seguito un corso per operatore in sala radio. C’è una rigida
procedura da rispettare riguardo alle parole che bisogna usare nella
comunicazione via filo, affinché il messaggio arrivi forte e chiaro e la
risposta lo sia altrettanto. Avere personale formato, anche nei posti
di lavoro, è determinante ai fini della sicurezza e soprattutto riguardo
alla serietà nel saper riconoscere la gravità di una determinata
situazione, affinché nessuno possa comportarsi come se una telefonata,
in cui viene richiesto aiuto, possa essere scambiata per uno scherzo.
Allora,
…perché? Mi sono detta, …a Rigopiano è successo invece proprio questo?
C’erano state in passato altre telefonate-scherzo tali da determinare
una situazione di diffidenza, da abbassare il livello di allerta? Che
cosa ha determinato la non riuscita di tutte le richieste di aiuto
effettuate? E poi, quando si chiama il 112, è giustificabile l’attesa di
un disco con la voce registrata che ci chiede di chiudere la chiamata
per riprovare più tardi?
Leggendo
questo libro, mi sono ricordata che anche il linguaggio della persona
che telefona e che deve allertare e segnalare è importante, per non dire
fondamentale. Con sconcerto, ho appreso che l’unico sopravvissuto alla
valanga (il papà dei due bimbi, che poi si sono salvati), nei primi
minuti della tragedia, era palesemente e comprensibilmente sotto shock,
mentre telefonava sperando che sua moglie e i suoi bambini non fossero
morti.
«Il 112 non risponde» … «118
…sono Giampiero Parete, chiamo dall’Hotel Rigopiano, Farindola,
l’albergo non c’è più, non c’è più niente! C’è stata una valanga,
mandate qualcuno …» queste le sue drammatiche parole, «…un attimo rimanga in linea...» è stata la risposta, mentre il cellulare aveva poco campo e poca carica... Ancora: «… da dove chiama?» «Rigopiano! ...mandate subito qualcuno!» «…ok, ok, stia calmo, adesso la richiamiamo. Rimanga con il telefono acceso» …
Assurdo.
Assurdo, ripeto, che sia stata proprio la telefonata, per prima, a non
funzionare. La telefonata a cui ti aggrappi con tutto te stesso nella
disperazione più cupa mentre hai freddo, e ...nessuno ti richiama.
Di
qui in poi la storia è tristemente nota. Disperato il Sig. Parete
chiama un suo amico, (quello che, tra l’altro, ironia della sorte, gli
aveva regalato questa vacanza) ... «Professore, sono Giampiero.
Qui è successo un casino, è venuto giù l’albergo. Un terremoto, una
valanga. Ho perso tutto, sono tutti là sotto, Adriana e i bambini,
abbiamo bisogno di aiuto!»
«…continuavo a provare con il 112 e il 118, ma …o non prendeva la linea, o non rispondevano o gli operatori, o… non mi credevano…» questo racconterà più tardi.
Èduro da leggere, e non è, nel modo più assoluto, tollerabile, e soprattutto, non deve accadere.
Eppure
è successo, eppure qualcosa non è andato come doveva, perché nel
racconto drammatico di quei momenti concitati, viene fuori che gli
operatori telefonici continuavano a chiedergli le generalità non
riuscendo ad andare oltre, per altro senza segnalare in tempo l’allarme,
non riuscendo ad afferrare, la gravità della situazione … ed erano già
passate ore.
In tutto questo caos la segnalazione della telefonata poi, arriva a Gabriele, un vicino di casa, capo dipartimento all’Anas. «Giampiero Parete? Lo conosco. Provo a chiamarlo io.»
C’è un contatto. Finalmente. «Gabriè … aiutami tu. Sono quassù, una valanga ha distrutto tutto. Ho perso Adriana e i bambini...ho perso tutti …». Solo allora …è partita la macchina dei soccorsi.
Sono
rimasta sconvolta nel leggere nel dettaglio come è andata veramente. La
mia riflessione, da volontaria che si trova spesso a dover comunicare
con una sala radio nelle emergenze, è stata questa, forse, c’è la
necessità di rivedere il linguaggio da usare nelle situazioni di
emergenza? Ma qui non stiamo parlando di personale competente, perché
non possiamo essere tutti esperti di quello che è il modo più corretto
da usare, in una situazione del genere, specialmente se chi è il diretto
interessato è un civile non addestrato a farlo. E anche in quel caso,
quanto deve essere disperata la voce di chi chiede aiuto?
Ad
un certo punto del racconto, Giampiero riferisce che mentre era al
telefono con un rappresentante delle Forze dell’ordine, quest’ultimo lo
abbia minacciato di denuncia per procurato allarme. Che cosa può aver
innescato tali reazioni, mi domando? Qual è il limite che non si deve
raggiungere, per essere creduti? Quanto il tono della voce deve essere
disperato, per far passare l’allarme ad un secondo livello, in modo da
attivare i soccorsi senza perdere minuti preziosi e chi decide, al
contrario, che non è così?
Questa
vicenda evidenzia tante situazioni assurde. Racconti che sono storie,
pezzi di vita, attimi vissuti di un dramma a tratti incomprensibile. Un
fatto di cronaca di cui tanto si è letto sui giornali di cui ora ci
viene mostrato un altro punto di vista.
Consiglio vivamente questo libro, perché leggendolo si entra davvero dentroquella
tragedia e si comprende, in maniera viscerale, come si può sopravvivere
50 ore senza soccorsi, sotto la neve, al freddo, con la disperazione
nell’anima.
Non
oso pensare a tutte quelle persone che sono morte aspettando un segno,
un richiamo, i soccorsi, …gli eroi. Invece, per una mancanza di adeguata
formazione, forse per una leggerezza che nella catena dei soccorsi non
deve mai avvenire, gli eroi stavolta sono arrivati tardi e li hanno
trovati morti. 29 per l’esattezza.
Ovviamente nel libro si racconta anche il dopo.
Quando ti senti quasi in colpa perché tu sei vivo e gli altri non ce
l’hanno fatta, ma, soprattutto, quello che tutto questo può fare nella
mente di un bambino, sopravvissuto alla tragedia. Perché è anche a loro
che dovremo spiegarlo. Perché le cose non vanno solo ascoltate, ma si
deve provare anche a capirle, da dentro, per evitare che la storia si
possa tristemente ripetere.
Leggetelo questo libro, vi farà solo bene.
Mi sconvolsero i ritardi nei soccorsi, i mezzi non sufficienti, l'esercito mosso in maniera farraginosa.. bastava poco, pochissimo.. parliamo di semplice prevenzione, quella che non avviene in migliaia di altri casi, in migliaia di altre potenziali situazioni a rischio. Perché la prevenzione non porta voti: squallida realtà.
RispondiEliminaE a cinque anni dal disastro, come al solito, non si è ancora venuti a capo di nulla.
RispondiEliminaUn ricordo tristissimo, ma i ritardi attuali nei processi fanno molto arrabbiare
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