Sul confine della Carnia, nel mezzo dei combattimenti della Grande Guerra, sono rimaste solo le donne, a prendersi cura dei vecchi e dei bambini. Gli uomini sono tutti sui monti, nelle prime linee, battaglioni degli alpini allo stremo.
Abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro, le mani ruvide e callose per la fatica, le gambe irrobustite dai lavori pesanti, nei campi e nelle case, le donne di Timau vengono chiamate dal Comando in difficoltà: necessitano viveri e munizioni nelle trincee.
Agata e trenta compagne escono dall’ombra delle loro giornate stanche, e indossano le gerle: alcune sono poco più che bambine, rese adulte dalla terra aspra, dalla paura e dalla fame. Nessuna si tira indietro, si carica di quello che serve, le cinghie che segano le spalle; curve si incamminano, diventano muli, in fila sui sentieri, milleduecento metri di salita nervosa, uno sfinimento per raggiungere i soldati e poi ridiscendere a valle. Anin. Andiamo.
Fiore di roccia di Ilaria Tuti (Longanesi), racconta un pezzo di storia troppo a lungo dimenticata: quella delle Portatrici carniche, che sono diventate anche loro soldati, a fianco degli alpini, fonte della loro resistenza.
In cima, sul Pal Piccolo, gli occhi di Agata si immergono nella foschia purulenta delle trincee, torrenti di corpi a brandelli, sangue e feci, da cui si elevano lamenti di ragazzi che chiamano la mamma. È una cloaca di poveri dannati, la prima linea, e nel buio di quegli antri di morte Agata tira fuori una fierezza primordiale, tutto il coraggio che è sempre stato concime della sua terra, e che le porta il rispetto dei soldati.
Le Portatrici sono un vero reparto, sempre più numeroso a ogni salita, e a ogni devastante discesa, con le gerle leggere sulle schiene, ma il dolore spostato alle braccia, che portano le barelle dei cadaveri per poi scavarne il cimitero.
Quella di Agata è una tenacia delicata come una stella alpina, aggrappata alla montagna: sono fiori di roccia, le donne carniche, piegate sotto il peso di una guerra che sono state capaci di combattere con eroismo. A loro la Croce di Cavaliere, consegnata alle reduci novantenni da Oscar Luigi Scalfaro nel 1997.
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Questa è l’introduzione alla trama di questo libro che volevo leggere da tanto e mi è stato regalato.
Chissà perché i libri di storia non riportano di questo e ci sono così tante cose che ignoriamo, storicamente parlando. Comunque si entra in guerra.
Entrare in questo libro è come entrare in trincea, ti entra nella carne e vivi le atmosfere e i momenti e visualizzi persone e situazioni. Il cinema ci ha fatto tutti registi nella testa e ci mettiamo poco a sviluppare mentalmente un film, ma poi le sensazioni che ti lascia dentro quando hai finito di leggere, sono strettamente personali. Ho dovuto fare della pause, lo ammetto. E’ faticoso andare in guerra, soprattutto con la differenza della nostra realtà. Mi ha colpito molto e mi è piaciuto.
Inoltre leggendo questo libro ho saputo l’origine della parola cecchino, che ignoravo.
[Durante il primo conflitto mondiale, nella lingua italiana si diffuse l'uso del termine "cecchino", nato per indicare i tiratori scelti austro-ungarici. Il termine "cecchino" deriva da "Cecco Beppe", soprannome con cui era noto, fin dal periodo del Regno Lombardo-Veneto, l'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria. ]
Questo libro l'ho già visto e ho già pensato di acquistarlo ma ancora non l'ho fatto. Ora ho diversi libri da leggere ma mi segno anche il titolo di questo e poi vedrò. Grazie per essere passata e saluti.
RispondiEliminasicuramente lo troverai in biblioteca... comunque bello tosto
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