Ho appena terminato questo libro che mi ha letteralmente scaraventato nel passato. Letto con avidità, per leggere cose che ignoravo o sapevo sommariamente e anche per il piacere di credere che non tutto è perduto, se siamo riusciti a fare questo.
Un pezzo di storia italiana che quasi nessuno sembra ricordare più, storia di un’accoglienza e di quanto la cultura e la generosità di un popolo sia o sembra cambiato, da una globalizzazione, che ci ha indurito i cuori.
Resta
da chiedersi perché questa storia positiva sia ancora così poco
nota e perché gli stessi protagonisti, mostrino una certa difficoltà
a parlarne. Umiltà o vergogna? Perchè essere poveri è ancora una
vergogna da nascondere, essere ladri invece no.
L’altruismo e la solidarietà oggi sono quasi
considerate pecche dell’animo, una specie di pericolosa malattia
chiamata “sensibilità”, o “empatia”, una stortura capace di
portare il Paese intero alla rovina, vittima di approfittatori e
speculatori.
Diventa allora sempre più necessario ricordare di
quando queste erano le fondamenta del vivere civile ed erano
sentite come un dovere.
Il passato ha ancora qualcosa da insegnarci, se
non ce l’ha il presente.
L’iniziativa traeva spunto da altre simili: bambini diretti in Emilia-Romagna erano partiti da Roma e provincia fino a Velletri, Cassino e Latina. Nel corso della sua durata, il progetto del Comitato salvò concretamente dalla fame, analfabetismo e malattie oltre 70 mila bambini, con il coinvolgimento anche di altre regioni, come la Toscana, le Marche, l’Umbria e la Liguria.
Confrontandoci con la realtà italiana attuale, questa sembra una favola, “una bella favola iniziata nel lontano 1947”. Racconta di una straordinaria esperienza politica e sociale, voluta, promossa e organizzata dal Partito comunista nei primi anni del secondo dopoguerra, quando Napoli si trovava in una condizione difficilissima. I bombardamenti subìti, le razzie naziste nella parte finale dell’occupazione dopo le Quattro Giornate e la povertà, avevano messo in ginocchio la più grande città del Sud. “Nell’immenso tessuto urbano che rimarrà per mesi privo di energia elettrica e di trasporti pubblici, gli abitanti sloggiati dai bombardamenti si ammucchiano nei ricoveri antiaerei, nelle stazioni della metropolitana e delle funicolari, tra le macerie, nelle grotte, nei cunicoli […]. La scarsezza di acqua costringe donne, vecchi e bambini a lunghissime file dinanzi alle poche fontane pubbliche ancora in funzione. Se il servizio di nettezza urbana è inesistente, tragica è la situazione sanitaria : gli ospedali semidistrutti mancano di farmaci […]. Miseria e vergogna non nascono da una vocazione patologica della gente napoletana, ma semplicemente dallo sfacelo”.
Il Comitato nacque in questo contesto da un nutrito gruppo di intellettuali capeggiati da Gaetano Macchiaroli, insieme ai partiti di sinistra e ad altre forze democratiche e sindacali come l’Udi, Unione Donne Italiane. L’idea era quella di far uscire dalla durezza della condizione post bellica quanti più bambini napoletani fosse possibile, dando loro l’occasione di conoscere, per la prima volta, un’esperienza di vita più adatta alla loro età, accogliendoli in città e regioni del centro-nord del Paese nelle quali avrebbero trovato migliori possibilità di nutrirsi e di crescere. Non che a quell’epoca altrove si navigasse nell’oro, ma almeno si riusciva in qualche modo a mettere insieme il pranzo con la cena.
I bambini furono individuati, “ripuliti”,
accompagnati da schede di riconoscimento, forniti di cappotti e
indumenti e preparati per lasciare Napoli. Con quali pensieri? I
bambini di un tempo ricordano e raccontano la paura della partenza –
a nessuno di loro era chiaro dove stessero andando e perché – ma
anche la meraviglia dell’arrivo. Coperte rimboccate, stanze
calde, giocattoli di stoffa e non di carta, scuole accoglienti,
salami appesi alle travi della cucina, uova fresche e latte: ai loro
occhi sembravano dei veri e propri miracoli. Ma sono
soprattutto le memorie della famiglia e della cura, scoperti per la
prima volta insieme al senso di responsabilità degli adulti nei loro
confronti, a essere ricordati con commozione: “A Napoli invece
ognuno doveva preoccuparsi di se stesso,” raccontano. Allo
stesso modo arrivano le testimonianze delle famiglie affidatarie: “Io
stavo per dire, molto a malincuore, di no, pensando alle precarie
condizioni, ma fu tale la gioia all’idea di fare del bene”.
Il ritorno a Napoli fu, per tutti, bambini e
adulti che si erano presi cura di loro, combattuto: i primi dovettero
più o meno consapevolmente arrendersi e rinunciare agli agi non solo
materiali ma anche emotivi, spesso richiamati in città dai genitori
perché dessero una mano alla famiglia d’origine lavorando; i
secondi, invece, dovettero lasciarli tornare in quel contesto che era
ancora poverissimo. Eppure non vi è traccia alcuna di pregiudizio
verso il Sud o di due diverse “Italie” che non riescono a
parlarsi: piuttosto, a emergere sono una serie di legami fortissimi
appena sotto la superficie degli eventi, mossi dalla solidarietà e
diventati, nel corso del tempo, un bel ricordo e, in alcuni casi, una
solida amicizia.
Prima di questo libro, già ero venuta a
conoscenza di questo fatto storico, leggendo il bellissimo libro “I comunisti mangiano i bambini”, in cui con orrore ho appreso il
grande ostruzionismo e strumentalizzazione politica della Chiesa e
dei democristiani verso i comunisti, sempre dipinti come “mangiatori”
di bambini. I cattolici denunciarono una “tratta dei fanciulli”,
mentre diverse testate contribuirono a diffondere quella che oggi
chiameremmo una fake news, e cioè che i piccoli accompagnati ai
treni in partenza per l’Emilia sarebbero stati, in realtà, spediti
altrove dalla Sicilia, e cioè in Russia. I bambini furono
letteralmente terrorizzati da preti e suore e questi poveri bambini
partirono con dei traumi enormi. Gli avevano detto che gli avrebbero
tagliato le mani e altre cose orribili che facevano i comunisti. Il
lavoro di ricerca dei bambini in condizioni più disagiate fu dunque
complicato dalla propaganda negativa che raggiungeva le famiglie
soprattutto attraverso le parrocchie, ma il risultato, dopo la
partenza del primo convoglio, superò ogni aspettativa.
Grazie ai controlli medici fatti ai bambini prima
della partenza fu possibile avere una stima precisa di malattie e
infezioni e dopo le diffidenze iniziali, si riuscì a coinvolgere
anche gli oppositori politici della sinistra come la Pachiochia,
una capopopolo monarchica che, una volta appurata la natura benefica
dell’iniziativa, si offrì per collaborare in prima persona con gli
organizzatori.
Fanno tenerezza tanti episodi raccontati nel libro e vissuti in
prima persona da questo bambino napoletano (che deciderà poi di
rimanere con la famiglia emiliana), come la meraviglia dei bambini
che, davanti alla neve, vista per la prima volta dal finestrino del
treno, la scambiarono per ricotta. In un’epoca in cui si era ancora
molto distanti per lingua e cultura, si fece un vero miracolo di
misericordia.
Ignoravo, storicamente parlando, che quella
esperienza del Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli fu
riproposta anche in altre situazioni di emergenza, come durante
l’alluvione del Polesine nel 1951 e in seguito allo sciopero di San
Severo nel 1950, a Foggia, che portò all’arresto di 184 persone,
tra cui molte donne costrette a lasciare i propri figli che vennero
temporaneamente “adottati” da famiglie del centro-nord Italia.
Consiglio la lettura di entrambi i libri per
capire un pezzo importantissimo della nostra cultura e della nostra
storia.
Non sapevo nulla di questo progetto. E' la prima volta che ne sento parlare.
RispondiEliminaCome mai non se ne è mai parlato? Forse come dici tu, è disdicevole essere umani ed empatici? Condividere le sofferenze altrui e agire per alleggerirle?
Mi hai incuriosita molto e mi son segnata entrambi i libri per il prossimo acquisto.
te li consiglio vivamente... anche se sul tema ho scoperto che ci sono altri libri da leggere
EliminaL'ho letto un mese fa. Viola Ardone sa scrivere e bene.
RispondiEliminaQuesta volta supera se stessa mostrandoci una fotografia vivida di quello che siamo stati per aiutarci a capire meglio quello che saremo.
Io veramente come scrittrice non la conoscevo.
EliminaAllora ti consiglio "La ricetta del cuore in subbuglio" per proseguire la conoscenza.
EliminaTi ringrazio per il consiglio di lettura, ma credo che non lo leggerò. Ho letto la trama e mi aprirebbe troppe ferite che celo dentro di me... Besos
EliminaGentile Elisa, visto il titolo del suo post, "treni della felicità", mi permetto di ricordare il mio libro, uscito 10 anni fa, "I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie" (Ediesse 2009).Lì troverà le storie vere raccontate dai protagonisti di quei viaggi, lungamente ricercati in giro per l'Italia. Storie che riemergono anche nel romanzo che recensisce. Saluti, Giovanni Rinaldi
RispondiEliminaGuardi io la ringrazio tantissimo perchè stò cercando libri sull'argomento e questo libro non ha soddisfatto pienamente la mia curiosità. Anzi, visto che lei si è documentato per scrivere questo libro, saprebbe dirmi/dirci per quale motivo nessuno negli anni è venuto a conoscenza di questo fatto storico? Grazie
Eliminami scusi se leggo solo ora la sua risposta. Le invio un link al mio blog dove, in un lungo post, ho raccolto quanto è stato scritto, pubblicato, libri, fumetti, cinema, teatro, radio e televisione dal 1954 al 2019. Che un fatto storico non sia pienamente conosciuto dai più non è segno che nessuno se ne sia interessato. Spesso si conosce quello che più pesantemente il mercato ci impone e, inoltre, gli stessi libri di storia tacciono molti e importanti aspetti della nostra storia nazionale. Lo stesso libro della Ardone è, evidentemente - se si conoscessero i testi a cui la stessa autrice si riferisce nel prendere spunti, idee e personaggi - frutto del lavoro che l'ha preceduta negli anni.
RispondiEliminaEcco il link: https://giorinaldi.wordpress.com/2019/10/29/i-treni-della-felicita-memorandum-per-gli-smemorati/
p.s. nella nona edizione italiana de "Il treno dei bambini" (gennaio 2020) è ora presente nelle due ultime pagine una nota che spiega quali fonti sono alla base del suo lavoro. Se queste pagine fossero state pubblicate nella prima edizione ne avrebbero guadagnato in tanti, soprattutto i lettori.
Saluti, Giovanni Rinaldi
Sono perfettamente d'accordo con lei. Ho comprato il suo libro che inizierò a breve. E la ringrazio del link del suo blog.
EliminaPurtroppo i libri diventano famosi per come vengono pubblicizzati e tanto dipende dalla casa editrice. Sicuramente lei meritava un'altra vetrina. Grazie, Elisa
La ringrazio io. saluti
RispondiElimina