Una nuova peste si stà abbattendo sulle nostre realtà, e quindi anche mossa da curiosità ho fatto una piccola ricerca in internet...
Credo che le poche condizioni igieniche e una normale prassi di diminuzione della popolazione terrestre, dovuto forse ad un orologio di sopravvivenza di fronte ad un numero troppo elevato di persone, crei le condizioni per una epidemia e le sue conseguenze...
La peste nera del Trecento
Una delle prime epidemie di cui si ha traccia è
quella di febbre tifoide durante la guerra del Peloponneso, nel V
secolo avanti Cristo. Il focolaio della cosiddetta “peste di Atene”
colpì gran parte del Mediterraneo orientale. Nelle cronache del
VI secolo dopo Cristo trova invece largo spazio il morbo di
Giustiniano, una pandemia di peste bubbonica che, sotto il regno
dell’imperatore Giustiniano I, dal quale prese il nome, si abbatté
sui territori dell’Impero bizantino e in particolar modo
su Costantinopoli. Ma fu la grande peste nera del 1300 la
peggiore per la popolazione europea, che ne uscì decimata.
L’epidemia fu probabilmente importata dal Nord della Cina. Nei
secoli successivi si sono succedute periodiche epidemie di colera e
il vaiolo, ribattezzata la “malattia democratica” perché
uccideva tanto i poveri quanto i sovrani, come Luigi XV di Francia.
Il flagello della Spagnola
Nel XX secolo, l’enorme crescita della
popolazione mondiale e lo sviluppo dei mezzi di trasporto moderni,
insieme a tanti benefici, hanno permesso anche ai virus di viaggiare
rapidamente da una parte all’altra del pianeta, arrivando incolumi
dall’estremo Est sul suolo europeo o americano. La madre di tutte
le pandemie, ancora più grave perché sviluppatasi in concomitanza
con la Prima guerra mondiale, risale infatti al Novecento ed è
l’influenza Spagnola, chiamata così perché le prime notizie su di
essa furono riportate dai giornali della Spagna che, non essendo
coinvolta nel conflitto mondiale, non era soggetta alla censura di
guerra. Il virus contagiò mezzo miliardo di persone uccidendone
almeno 25 milioni, anche se alcune stime parlano di 50-100 milioni di
morti. Si calcola che morì dal 3 al 6% della popolazione mondiale.
Identificata per la prima volta in Kansas nel 1918, la Spagnola era
causata da un ceppo virale H1N1.
I virus del secondo Dopoguerra
Nel 1957 tornò la paura del contagio con la
cosiddetta influenza Asiatica, un virus A H2N2 isolato per la prima
volta in Cina. In questo caso, venne messo a punto in tempi record un
vaccino che permise di frenare e poi di spegnere del tutto la
pandemia, dichiarata conclusa nel 1960. Nel frattempo, però, erano
morte due milioni di persone. Sempre dall’Asia, caratterizzata da
aree densamente popolate, un’igiene non sempre appropriata e -
almeno fino alla fine del secolo scorso - uno scarso livello di
strutture sanitarie, nel 1968 arrivò l’influenza di Hong Kong, un
tipo di influenza aviaria, abbastanza simile all’Asiatica, che in
due anni uccise dalle 750mila ai 2 milioni di persone, di cui 34mila
solo negli Stati Uniti.
Sars e “suina”
Nel nuovo millennio il primo allarme mondiale è
scattato nel 2003 per la Sars, acronimo di “Sindrome acuta
respiratoria grave”, una forma atipica di polmonite apparsa per la
prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong in Cina.
In un anno la Sars uccise 800 persone, tra cui il medico italiano
Carlo Urbani, il primo a identificare il virus che lo ha poi
stroncato. Risale invece al 2009 l’impropriamente detta “influenza
suina”, causato da un virus A H1N1. Enorme l’allarme anche in
Italia, dove furono oltre un milione e mezzo le persone contagiate.
La paura rientrò quando fu chiaro che il tasso di mortalità era
inferiore anche a quello della normale influenza.
Ora
questa nuova epidemia che terrorizza il mondo. Sembra che il
coronavirus risparmi i bambini, o li colpisce comunque con sintomi
lievi. Fra i 425 pazienti di Wuhan, nessuno ha meno di 15 anni. I
malati sono invece spesso in età avanzata: la metà ha oltre
sessant’anni. La maggioranza (56 su 100) sono uomini. «I bambini —
spiega il New England — sembrano essere meno suscettibili
all’infezione o, se contagiati, mostrano sintomi più lievi». Una
buona notizia per loro, ma una difficoltà in più per i medici che
cercano di fotografare l’epidemia e di contenerla. «È probabile —
scrive infatti l’équipe cinese — che questo porti a sottostimare
i numeri delle persone realmente colpite».
L’inizio del contagio
Con tutta probabilità è partito ben prima dell’allarme ufficiale, che risale al 31 dicembre 2019. I primi pazienti hanno iniziato a mostrare sintomi il 1° dicembre e il New England sostiene che «la trasmissione da uomo a uomo, sulla base delle evidenze, è iniziata a metà di dicembre». Ogni malato finora ha infettato altre 2,2 persone. Questi numeri, chiedono con urgenza i medici cinesi, «richiedono uno sforzo considerevole per controllare la trasmissione del virus nelle zone a rischio». La Sars arrivava a un tasso di contagiosità più alto, intorno a 3. Ma provocava anche sintomi più gravi e difficilmente un malato sfuggiva al ricovero in ospedale. Il nuovo coronavirus da questo punto di vista è più subdolo. Confondendosi nei casi più lievi con la normale influenza di stagione, fa sì che molte persone contagiose proseguano la loro vita di tutti i giorni.
La rete di sorveglianza
I tempi di reazione di fronte alla nuova epidemia non sono stati abbastanza rapidi da evitare i focolai al di fuori di Wuhan. Ma di certo la lezione della Sars è servita. Allora — era il 2003 — ci vollero 4 mesi solo per rendersi conto dell’emergenza e isolare il virus. A dicembre i medici che in ospedale hanno dovuto gestire i primi pazienti si sono invece ritrovati in mano un questionario dal titolo “polmonite di origine incerta”. Era stato preparato in vista di una nuova epidemia. Andava riempito con i dati dei pazienti e con le interviste ai familiari sui comportamenti adottati nelle ultime settimane: luoghi visitati, persone incontrati, animali con cui si è entrati in contatto. In questo modo è stato possibile risalire al mercato di Wuhan come sorgente iniziale dell’epidemia. Fra le persone contagiate a dicembre, il 55% aveva frequentato i banchi in cui si vendevano tra l’altro animali selvatici vivi.
Il sistema sanitario cinese, specialmente nella regione di Wuhan, sta scricchiolando sotto al peso di migliaia di nuovi malati ogni giorno. Uno dei segnali di stress, sottolinea il New England, è la quota elevata di infermieri e medici che sono stati contagiati. Un altro problema grave è il tempo che i pazienti impiegano a trovare un posto letto. “L’89% dei pazienti — è uno dei dati più preoccupanti dello studio — non viene ricoverato prima che siano passati 5 giorni dall’inizio della malattia”. Questo lasso di tempo va aggiunto a un periodo di incubazione che è mediamente di 5,2 giorni, ma che in alcuni casi è arrivato a 12. Un bell’aiuto per un virus che non chiede di meglio che circolare il più possibile a piede libero.
L’inizio del contagio
Con tutta probabilità è partito ben prima dell’allarme ufficiale, che risale al 31 dicembre 2019. I primi pazienti hanno iniziato a mostrare sintomi il 1° dicembre e il New England sostiene che «la trasmissione da uomo a uomo, sulla base delle evidenze, è iniziata a metà di dicembre». Ogni malato finora ha infettato altre 2,2 persone. Questi numeri, chiedono con urgenza i medici cinesi, «richiedono uno sforzo considerevole per controllare la trasmissione del virus nelle zone a rischio». La Sars arrivava a un tasso di contagiosità più alto, intorno a 3. Ma provocava anche sintomi più gravi e difficilmente un malato sfuggiva al ricovero in ospedale. Il nuovo coronavirus da questo punto di vista è più subdolo. Confondendosi nei casi più lievi con la normale influenza di stagione, fa sì che molte persone contagiose proseguano la loro vita di tutti i giorni.
La rete di sorveglianza
I tempi di reazione di fronte alla nuova epidemia non sono stati abbastanza rapidi da evitare i focolai al di fuori di Wuhan. Ma di certo la lezione della Sars è servita. Allora — era il 2003 — ci vollero 4 mesi solo per rendersi conto dell’emergenza e isolare il virus. A dicembre i medici che in ospedale hanno dovuto gestire i primi pazienti si sono invece ritrovati in mano un questionario dal titolo “polmonite di origine incerta”. Era stato preparato in vista di una nuova epidemia. Andava riempito con i dati dei pazienti e con le interviste ai familiari sui comportamenti adottati nelle ultime settimane: luoghi visitati, persone incontrati, animali con cui si è entrati in contatto. In questo modo è stato possibile risalire al mercato di Wuhan come sorgente iniziale dell’epidemia. Fra le persone contagiate a dicembre, il 55% aveva frequentato i banchi in cui si vendevano tra l’altro animali selvatici vivi.
Il sistema sanitario cinese, specialmente nella regione di Wuhan, sta scricchiolando sotto al peso di migliaia di nuovi malati ogni giorno. Uno dei segnali di stress, sottolinea il New England, è la quota elevata di infermieri e medici che sono stati contagiati. Un altro problema grave è il tempo che i pazienti impiegano a trovare un posto letto. “L’89% dei pazienti — è uno dei dati più preoccupanti dello studio — non viene ricoverato prima che siano passati 5 giorni dall’inizio della malattia”. Questo lasso di tempo va aggiunto a un periodo di incubazione che è mediamente di 5,2 giorni, ma che in alcuni casi è arrivato a 12. Un bell’aiuto per un virus che non chiede di meglio che circolare il più possibile a piede libero.
Ho sentito stasera al telegiornale che un medico cinese aveva capito precocemente il problema e ne aveva subito denunciato la pericolosità, ma era stato accusato di voler provocare il panico generale e, dopo una solenne ammonizione, era stato dimesso dal servizio in ospedale. Ora pare che l'abbiano reintegrato con tante scuse, ma se l'avessero ascoltato, l'epidemia si sarebbe contenuta molto prima.
RispondiEliminala solita storia
EliminaAspetto con ansia il ritorno da Shanghai del figlio di amici, spero riesca a rientrare in Italia e porti notizie meno sconfortanti di quelle che ci propinano in televisione e sui giornali.
RispondiEliminaRegna, ad ogni modo, una tale confusione di allarmi e smentite che aver paura è il minimo.
facci sapere
Elimina... te ne sei perse due fondamentali: la MERS, la febbre dei cammelli, e Ebola. Il COVID-19 ha una mortalità circa dieci volte quella dell'influenza stagionale, ma alla fine dovrebbe essere intorno all'uno per cento (che è tanto, eh, non banalizzo). La SARS arrivo' a 10 volte tanto, ossia il 10%. La MERS al 30% e Ebola al 50%.
RispondiEliminaMi è capitato di vedere alcuni documentari e... ci ando' davvero di lusso! Riuscimmo ad intercettare tutti i portatori non appena messo piede sul suolo europeo, altrimenti sarebbero state stragi pazzesche. Pero' fu anche più facile poiché la contagiosità partiva da quando queste malattie erano sintomatiche, cosa che non vale per il COVID.
Tutti i grandi esperti dicono che nella sfortuna di avere questo nuovo virus, siamo di nuovo stati molto fortuinati: avesse avuto la stessa mortalità dei precedenti, o al contrario avessero avuto quelle la stessa mobilità e contagiosità... bé, il genere umano avrebbe potuto essere quasi dimezzato.
Sapevi che tra le probabili cause di possibile estinzione del genere umano c'è anche la voce "virus"? :-)
www.wolfghost.com
di qualcosa bisogna pur morire per decimare... siamo in troppi... credo sia il pianeta stesso a generare una difesa, i virus siamo noi
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