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venerdì 28 gennaio 2022

Serie tv


 Eppoi ci sono quelle serie tv che ti incollano allo schermo anche se le vedi da anni...

martedì 25 gennaio 2022

Esordienti

 

Ho ordinato direttamente dall'autore, questo piccolo e delizioso libro.
Alice Vignoli è un'esordiente, una mamma che ha scritto un racconto per i suoi figli, dove racconta la guerra e soprattutto una storia vera tramandata oralmente. Mi ha anche inviato un segnalibro bellissimo, oltre al segnalibro personalizzato che era già nel libro.

Ambientato nelle colline romagnole, tratta la storia vera di una bambina di nome Maria durante la fine della seconda guerra mondiale.
Altri sacrifici e senso della famiglia che oggi sono dimenticati ma che ci fanno amare questo libro per la delicatezza con cui tutto questo viene raccontato. I sacrifici, la paura, la fame, la vita.

Complimenti davvero. Una lettura scorrevole.
Bisogna tramandare i racconti dei nonni e delle nonne perchè tra un po' sarà troppo tardi.
 

mercoledì 19 gennaio 2022

Rigopiano - triste anniversario

 

Triste anniversario - Ripropongo questo articolo che scrissi mesi fa sul racconto di Rigopiano dei protagonisti che si salvarono.
Bellissimo e terribile.

Rigopiano,18 gennaio 2017
Il libro "Il peso della neve" (Mondadori, 2018) di Adriana e Giampiero Parete, sopravvissuti alla tragedia di Rigopiano racconta la storia di cosa accadde il 18 gennaio all'interno del Gran Sasso Resort di Rigopiano (Farindola, Pescara) nelle drammatiche 50 ore che seguirono la valanga, quando 120.000 tonnellate di alberi, rocce, ghiaccio e neve spazzarono via tutto, uccidendo 29 delle 40 persone presenti.
A raccontarlo è la famiglia Parete: mamma, papà e due figli, i quattro protagonisti di quello che i giornali definirono «il miracolo di Rigopiano».
Sapevo, quando ho comprato questo libro, a cosa sarei andata incontro, che cosa avrei provato ad entrare dentro questo dolore, a sentire la sofferenza, ancor di più perché sono mamma. Ma, sinceramente, non avrei mai immaginato che sarebbe stato così straziante, così profondo, così terribilmente doloroso. Però sono contenta di averlo fatto e ho capito tante cose che prima mi erano sfuggite.
Sono una volontaria di Protezione Civile e ascoltando le cronache dei Tg, non riuscivo proprio a credere che i soccorsi fossero arrivati così in ritardo, le telefonate ignorate e gli appelli di aiuto non raccolti, perché non erano stati creduti. Che era successo? Che cosa si era attivato che aveva aggravato la situazione facendola degenerare in tragedia? Certo, ho pensato, seguendo gli interventi, non siamo come nei film americani, e non è quasi mai all’apparenza tutto subito “fico” e super efficiente, ma, anche i nostri sistemi di soccorso negli anni sono migliorati e quindi non riuscivo a capacitarmi del ritardo dei soccorsi messi in campo e del loro arrivo intempestivo.
Qualche mese fa ho seguito un corso per operatore in sala radio. C’è una rigida procedura da rispettare riguardo alle parole che bisogna usare nella comunicazione via filo, affinché il messaggio arrivi forte e chiaro e la risposta lo sia altrettanto. Avere personale formato, anche nei posti di lavoro, è determinante ai fini della sicurezza e soprattutto riguardo alla serietà nel saper riconoscere la gravità di una determinata situazione, affinché nessuno possa comportarsi come se una telefonata, in cui viene richiesto aiuto, possa essere scambiata per uno scherzo.
Allora, …perché? Mi sono detta, …a Rigopiano è successo invece proprio questo? C’erano state in passato altre telefonate-scherzo tali da determinare una situazione di diffidenza, da abbassare il livello di allerta? Che cosa ha determinato la non riuscita di tutte le richieste di aiuto effettuate? E poi, quando si chiama il 112, è giustificabile l’attesa di un disco con la voce registrata che ci chiede di chiudere la chiamata per riprovare più tardi?
Leggendo questo libro, mi sono ricordata che anche il linguaggio della persona che telefona e che deve allertare e segnalare è importante, per non dire fondamentale. Con sconcerto, ho appreso che l’unico sopravvissuto alla valanga (il papà dei due bimbi, che poi si sono salvati), nei primi minuti della tragedia, era palesemente e comprensibilmente sotto shock, mentre telefonava sperando che sua moglie e i suoi bambini non fossero morti.
«Il 112 non risponde» … «118 …sono Giampiero Parete, chiamo dall’Hotel Rigopiano, Farindola, l’albergo non c’è più, non c’è più niente! C’è stata una valanga, mandate qualcuno …» queste le sue drammatiche parole, «…un attimo rimanga in linea...» è stata la risposta, mentre il cellulare aveva poco campo e poca carica... Ancora: «… da dove chiama?» «Rigopiano! ...mandate subito qualcuno!» «…ok, ok, stia calmo, adesso la richiamiamo. Rimanga con il telefono acceso» …
Assurdo. Assurdo, ripeto, che sia stata proprio la telefonata, per prima, a non funzionare. La telefonata a cui ti aggrappi con tutto te stesso nella disperazione più cupa mentre hai freddo, e ...nessuno ti richiama.
Di qui in poi la storia è tristemente nota. Disperato il Sig. Parete chiama un suo amico, (quello che, tra l’altro, ironia della sorte, gli aveva regalato questa vacanza) ... «Professore, sono Giampiero. Qui è successo un casino, è venuto giù l’albergo. Un terremoto, una valanga. Ho perso tutto, sono tutti là sotto, Adriana e i bambini, abbiamo bisogno di aiuto!»
«…continuavo a provare con il 112 e il 118, ma …o non prendeva la linea, o non rispondevano o gli operatori, o… non mi credevano…» questo racconterà più tardi.
Èduro da leggere, e non è, nel modo più assoluto, tollerabile, e soprattutto, non deve accadere.
Eppure è successo, eppure qualcosa non è andato come doveva, perché nel racconto drammatico di quei momenti concitati, viene fuori che gli operatori telefonici continuavano a chiedergli le generalità non riuscendo ad andare oltre, per altro senza segnalare in tempo l’allarme, non riuscendo ad afferrare, la gravità della situazione … ed erano già passate ore.
In tutto questo caos la segnalazione della telefonata poi, arriva a Gabriele, un vicino di casa, capo dipartimento all’Anas. «Giampiero Parete? Lo conosco. Provo a chiamarlo io
C’è un contatto. Finalmente. «Gabriè … aiutami tu. Sono quassù, una valanga ha distrutto tutto. Ho perso Adriana e i bambini...ho perso tutti …». Solo allora …è partita la macchina dei soccorsi.
Sono rimasta sconvolta nel leggere nel dettaglio come è andata veramente. La mia riflessione, da volontaria che si trova spesso a dover comunicare con una sala radio nelle emergenze, è stata questa, forse, c’è la necessità di rivedere il linguaggio da usare nelle situazioni di emergenza? Ma qui non stiamo parlando di personale competente, perché non possiamo essere tutti esperti di quello che è il modo più corretto da usare, in una situazione del genere, specialmente se chi è il diretto interessato è un civile non addestrato a farlo. E anche in quel caso, quanto deve essere disperata la voce di chi chiede aiuto?
Ad un certo punto del racconto, Giampiero riferisce che mentre era al telefono con un rappresentante delle Forze dell’ordine, quest’ultimo lo abbia minacciato di denuncia per procurato allarme. Che cosa può aver innescato tali reazioni, mi domando? Qual è il limite che non si deve raggiungere, per essere creduti? Quanto il tono della voce deve essere disperato, per far passare l’allarme ad un secondo livello, in modo da attivare i soccorsi senza perdere minuti preziosi e chi decide, al contrario, che non è così?
Questa vicenda evidenzia tante situazioni assurde. Racconti che sono storie, pezzi di vita, attimi vissuti di un dramma a tratti incomprensibile. Un fatto di cronaca di cui tanto si è letto sui giornali di cui ora ci viene mostrato un altro punto di vista.
Consiglio vivamente questo libro, perché leggendolo si entra davvero dentroquella tragedia e si comprende, in maniera viscerale, come si può sopravvivere 50 ore senza soccorsi, sotto la neve, al freddo, con la disperazione nell’anima.
Non oso pensare a tutte quelle persone che sono morte aspettando un segno, un richiamo, i soccorsi, …gli eroi. Invece, per una mancanza di adeguata formazione, forse per una leggerezza che nella catena dei soccorsi non deve mai avvenire, gli eroi stavolta sono arrivati tardi e li hanno trovati morti. 29 per l’esattezza.
Ovviamente nel libro si racconta anche il dopo. Quando ti senti quasi in colpa perché tu sei vivo e gli altri non ce l’hanno fatta, ma, soprattutto, quello che tutto questo può fare nella mente di un bambino, sopravvissuto alla tragedia. Perché è anche a loro che dovremo spiegarlo. Perché le cose non vanno solo ascoltate, ma si deve provare anche a capirle, da dentro, per evitare che la storia si possa tristemente ripetere.
Leggetelo questo libro, vi farà solo bene.