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venerdì 24 aprile 2020

Fiori dalla cenere... il coraggio delle donne in guerra























Lo ammetto, sono stata attratta dalla copertina e dalla fascetta rossa "1 milione di copie vendute" "in corso di traduzione in 27 paesi". Insomma, ho pensato ... sarà sicuramente un capolavoro.
Così sono entrata dentro questo libro, piena di aspettive, e invece...


Dopo le prime pagine si è già catapultati nel fulcro del racconto, i capitoli sono alternati; il capitolo di Charlie raccontato in prima persona e ambientato nel 1947, e i capitoli che  parlano di Eve ed è narrato in terza persona (1915 e il 1917).
Giuro che mi sono annoiata tantissimo. La base storica c'è ma questa scrittrice non è stata degna di raccontare questo. Nel libro vengono narrati in versione romanzata fatti realmente accaduti e citate e approfondite le vite di personaggi realmente esistiti, la più importante fra tutti la grande Louise de Bettigenes, la più importante spia della Prima Guerra Mondiale.
La rete di Louise comprendeva 100 agenti a Lille e nelle aree circostanti e per conto degli inglesi monitorava le attività dell’esercito tedesco e inoltre aiutava i soldati alleati a fuggire dai territori occupati: secondo la Western Front Associationi la rete Alice abbia salvato la vita a più di 1.000 britannici.
Louise, nome in codice Alice, aveva capito il valore aggiunto delle donne in ambito spionistico: non destavano sospetti in circostanze in cui un uomo sarebbe stato fermato, potevano contare sullo stereotipo della donzella indifesa per sottrarsi agli sguardi indagatori, e il loro desiderio di combattere per la patria era ardente quanto quello dei mariti, dei padri, dei fratelli e dei figli. La “rete di Alice” – questo il nome con cui sarebbe passata alla storia – si guadagnò la fama di più efficiente organizzazione spionistica bellica, soprattutto grazie all’impegno della fondatrice e delle sue compagne. Queste donne non si accontentarono di aspettare il ritorno dei loro uomini: si gettarono a capofitto nella guerra e trovarono un modo tutto loro per combatterla.

Quando ho terminato il romanzo è arrivata la parte più bella e decisamente interessante.

La scrittrice riporta alla fine tutti i cenni storici di queste grandi donne e delle loro vite. Ecco, li libro vale solo per questo. Quindi che dire, lo consiglio, in fondo non tutti abbiamo gli stessi gusti.

Per non dimenticare il sacrificio e il coraggio di donne che hanno combattuto così, spie per il loro Paese, rendendo un grande servizio per le operazioni di guerra.

Appena terminato il libro ho letto questo articolo sulle partigiane e ho collegato i fili.
I fili che non si studiano a scuola, i fili che non scrivono nei libri e lo devi scoprire tu negli anni semplicemente leggendo.
Anche in questo libro c'è la vergogna di fare le spie. Perchè sei una puttana per tutti e basta anche se poi i tuoi capi ti elogiano e ti appuntano una bella medaglia.

Uccise, torturate, stuprate: le donne partigiane che pochi ricordano

Hanno salvato ebrei, fatti fuggire gli uomini durante i rastrellamenti. I nazi-fascisti infierivano su di loro

Un gruppo di partigiane

Carla era un’infermiera alquanto atipica, curava, cuciva, correva, rischiava.
Non era armata, come Tina, una sua compagna, che in bicicletta percorreva le stradine fra Treviso e Padova, per portare radio ricetrasmittenti, a continuo rischio cappio, e che un giorno decise di farsi dare un passaggio da un camion di nazisti, aggirandoli con la scusa di avere un sacco di libri pesanti dentro la valigia.
Nello stesso periodo Adriana riparava i ricercati dalla gestapo, e quando la banda Koch la catturò, questa donna bellissima fu “stesa su un letto di chiodi e battuta con un arnese che serviva per il camino, persi tutti i denti, mi spaccarono quasi tutte le costole, ma io non parlai, per otto giorni non parlai…. Ah, scordavo, mi strapparono anche tutti i capelli, ma io non parlai”.
Quelle che andavano sui monti si occupavano di tutto, quelle che restavano in citta’ si occupavano di tutto.
Ines, Gina e Livia restarono in città, e si inventarono la prima forma di resistenza pacifica; appena avevano il sentore che nel paese limitrofo le Ss stavano organizzando una rappresaglia, davano l’allarme, tutti gli uomini abbandonavano l’abitato, e loro, donne bellisssime, si schieravano di fronte alle loro case, tenendosi per mano, aspettando i tedeschi cantando le canzoni che di norma si sentivano nelle risaie. Tutte senza armi.
Paola lavorava al Comune, a stretto contatto con i fasci, e riusciva a far sparire centinaia di stati famiglia bollati come “di razza giudia”, alcuni li bruciava, altri li faceva falsificare, Fam. Goldstein diventava Fam. Bianchi, e così salvò migliaia di esseri umani facendoli transitare per i valichi svizzeri, salvo poi essere impiccata in pubblica piazza.
C’era Clorinda, combattente, che venne catturata, stuprata, azzannata dai cani della gestapo, torturata dal capo nazi, infine impiccata pure lei.
Alla fine di queste donne rimase poco o nulla, si contarono in circa diecimila le vittime deportate, torturate, seviziate e macellate come bovini, talune si salvarono, e a parte casi rarissimi (leggi Nilde Iotti e Tina Anselmi), tornarono a fare i lavori di casa fra le mura domestiche, continuarono a fare la vita di prima, lavare, cucinare, badare, crescere i figli, accudire il focolare, senza che nessuno dicesse loro grazie.

Su 70 mila donne solo 18 furono insignite di medaglia al valore, e null’altro.

Dopo il 25 aprile vi furono le sfilate nelle città liberate, prima gli alleati, poi i gruppi partigiani composti dagli uomini, in fondo alla parata le donne bellissime, solo alcune e non sempre, dato che persino il Pci all’epoca considerava scostumato far sfilare una donna che era stata sui monti con gli uomini, e le medesime venivano insultate dalle donne che non avevano mosso un dito, al grido di “puttane” quando andava bene, e questo comportamento ignobile fece sì che le storie uniche e irripetibili di questo meraviglioso esercito di eroine finisse irrimediabilmente nel dimenticatoio.

Ovviamente poi niente succede per caso.

In questi giorni oltre al libro, agli articoli sullo stato-denuncia della considerazione delle donne partigiane, arriva anche in tv, nel "Paradiso delle Signore" una puntata sulla commemorazione del 25 aprile e testimonianze di partigiane, partigiani.
La serie tv è ambientata negli anni '60 ma è molto triste pensare che ad oggi abbiamo perso quasi tutta la memoria con questa pandemia che ha decimato gli anziani e quindi la nostra memoria storica.





















L’Anpi riconosce35 mila partigiane combattenti, che hanno ottenuto il ruolo di tenenti, sottotenenti o al massimo maggiori, e 20mila “patriote”, con compiti di supporto, assistenza e organizzazione. Molte donne si rifiutarono di chiedere un riconoscimento a guerra terminata: molte, come il personaggio di Renata Viganò, sentivano solo di aver fatto quello che andava fatto.
Oltre a quelle che si trovarono a combattere per caso”, per senso del dovere o per seguire mariti, fidanzati e talvolta figli, ci furono anche donne già impegnate in politica o nelle associazioni comuniste e cattoliche che pretesero un ruolo più attivo all’interno dei nuclei partigiani. Da queste esperienze nacquero i Gruppi di difesa della donna (Gdd), un’associazione comunista e femminista fondata da Lina Fibbi, Pina Palumbo e Ada Gobetti, che partecipò a molte azioni di sabotaggio e lotta armata, e l’Unione donne italiane di sinistra (Udi). Anche molte donne cattoliche parteciparono alla Resistenza, mettendo a frutto le esperienze maturate nella Gioventù femminile di Azione Cattolica (come ad esempio la futura ministra della Sanità Tina Anselmi). Se questi gruppi nacquero con l’esplicito obiettivo di aiutare gli uomini impegnati nella Liberazione, già dal 1944 si organizzarono in maniera più autonoma e, oltre a partecipare attivamente alle azioni, fornirono supporto alle vedove, alle contadine o alle madri lavoratrici. Nel 1944 l’Udi fondò anche il proprio giornale clandestino, Noi donne, in cui si discuteva di politica e del ruolo della donna, si commemoravano le cadute e si riportavano le notizie sulle lotte femminili. I Gdd organizzarono anche numerosi scioperi e manifestazioni, su esempio della “rivolta del pane” del 16 ottobre 1941, quando un gruppo di donne parmensi assaltò un furgone della Barilla per ridistribuire il pane alla popolazione.

Di alcune figure straordinarie si ricordano ancora gli atti coraggiosi: Mimma Bandiera, la partigiana bolognese che, una volta catturata, resistette per sette giorni alle torture senza mai tradire i propri compagni. O Carla Capponi, dei Gruppi di azione patriottica (Gap) romani, che prese parte all’attentato di via Rasella. Quest’ultima ci ha lasciato un’autobiografia molto importante per capire il ruolo delle donne nella Resistenza, Con cuore di donna. Capponi racconta la difficoltà nello stabilire un rapporto paritario con i compagni del Gap, la loro riluttanza a consegnarle un’arma (che infatti dovrà rubare a un soldato fascista su un autobus affollato), ma anche il vantaggio di essere una bella ragazza in grado di distrarre fascisti e tedeschi, unito alla costante minaccia della violenza sessuale.

7 commenti:

  1. Ho visto un documentario veramente interessante sulle donne nel contesto della resistenza www.openddb.it/film/bandite/?utmsource=facebook il link funziona se ha 55 minuti li vale tutti !!!

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  2. Un abbraccio a tutte le donne partigiane !

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  3. A volte i libri sono così: bastano poche pagine per dare valore ad un intero libro che altrimenti non meriterebbe. Di solito questo succede quando si ritrova il valore aggiunto della "storia vera".
    www.wolfghost.com

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  4. Si conta che i partigiani effettivi siano stati 80 mila visti i tuoi numeri devono essersi scordati delle donne ma a fine guerra diventarono magicamente 140 mila come a dire che ce ne sono 60 mila che con un balzo felino son saltati sul carro del vincitore. Del resto la natura umana è anche questa. Saluti.

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  5. Grandi donne,ma non se ne parla!Saluti OLga

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